Il
29 e 30 settembre a Cologna Veneta per Puliamo il Mondo e cerchiamo
anche di far capire che il Fratta, fiume più inquinato d'Italia ha
bisogno di una intensa pulizia bonifica! con Legambiente il circolo
Perla Blu e Alessandro Tasinato autore del libro Il fiume sono io.
Invitiamo tutti alla partecipazione dei due eventi
Questa
sera ( ero stranamente sola di tutto il popolo no Pfas a Sarego) la
Coldiretti in collaborazione con il comune ha tenuto un convegno sul
cibo sano italiano. Il relatore principale era Lorenzo Bezzana
responsabile nazionale per l'economia di Coldiretti. Devo dire che è
stato molto bravo a spiegare le truffe che si trovano leggendo bene le
etichette di tutto ciò che compriamo al supermercato compreso il
biologico. E così ci ha fatto vedere come vengono venduti in Italia molti
prodotti stranieri usati anche per la preparazione dei prodotti
esempio il grano per la pasta spacciata poi per italiana. Ha descritto
gli ingredienti di grandi marche a volte non nominate ma che si capiva
benissimo quali erano. Un esempio è una crema da spalmare dove
l'ingrediente principale è lo zucchero seguito da olio di palma non di
certo italiano e con appena il 13% di nocciole eppure viene
pubblicizzato come prodotto eccellente italiano! Dopo questa lunga e
importante relazione sul come riconoscere il Made in Italia è seguito l'intervento del responsabile Coldiretti
Vicenza Cerantola( a noi vecchi no Pfas molto noto). Ebbene ha lodato
Campagna Amica e il km zero e i nostri genuini prodotti e le difficoltà
avute con la mucca pazza . Sull'inquinanento che stiamo subendo non ha
fatto nomi non ha detto che è causato dai Pfas ha detto solo che non è
colpa degli agricoltori. Nel video si sente. Volevo intervenire ho
alzato la mano. Anche un agricoltore del biologico Alessandro Bellini
voleva intervenire ma niente hanno chiuso senza dare spazio a domande senza
interventi invitandoci tutti a un rinfresco fuori di cibo sano locale.
Allora io e Alessandro abbiamo aspettato Cerantola fuori e subito io gli
ho chiesto se si ricordava chi ero e ha detto di sì. Si è acceso un
sigaro e in tono di sfida si è fermato. Gli ho chiesto perché non ha
nominato i Pfas e cosa sta facendo come Coldiretti per questo problema .
Alessandro gli ha chiesto come può essere buono il cibo con il
digestato sparso sui campi. Ha risposto che lui stesso ha un
biodigestore che il digestato è organico perciò non inquina. Riguardo i
Pfas ha risposto che non è colpa loro altri hanno inquinato . Allora ho
chiesto perché ci avete diffidato nel 2014 perché non siete con noi? E
lui sempre più strafottente ha risposto che il nostro volantino
insinuava cose non vere i loro prodotti sono sani. E si è defilato per
andare al sano rinfresco. Il sindaco 5 stelle zitto nessuna domanda
nessun commento e non c'era neanche una mamma no Pfas. Se non è mafia
questa ditemi voi cos'è? Aggiungo
una domanda anche per il responsabile nazionale della Coldiretti che
ieri sera ha nominato le truffe che spacciano come italiani all'estero
prodotti che non hanno nulla di italiano come un imitazione del grana ad
esempio con la definizione di agropirateria queste truffe. Non è
agropirateria anche usare prodotti italiani inquinati negli alimenti e
poi spacciarli per Doc o dop?
Venezia – Vicenda dell’inquinamento da Pfas e
affini sempre più scottante in Veneto, e azienda Miteni sempre più sulla
graticola. Anche la politica si muove, su questo fronte, con più
frequenza ed incisività in questi giorni, in particolare lo fa
l’opposizione consiliare regionale, con i due consiglieri Guarda (Amp) e
Zanoni (Pd) che hanno presentato una mozione chiedendo che la Regione
rimuova il sito Miteni e proceda immediatamente con le bonifiche.
“Sono ormai trascorsi cinque anni – sottolineano Guarda e Zanoni –
dalla comunicazione sulla presenza di Pfas negli acquedotti e
dall’identificazione della contaminazione sotto la Miteni. È assurdo
pensare che solo oggi, dopo le due caratterizzazioni realizzate, si
venga a certificare l’esistenza di un inquinamento riferibile
all’attività di Miteni degli ultimi quattro anni. Ora basta: i tempi per
una bonifica sono ampiamente maturi e la Regione ha tutti gli strumenti
per procedere”.
“Da anni sollecitiamo controlli e iniziative cautelative
sull’attività dell’azienda – continuano i due consiglieri regionali -,
anche attraverso l’applicazione della norma del Piano di tutela delle
acque, recentemente introdotta da questa giunta, che parla di protezione
delle aree di ricarica della falda, come Trissino, con l’immediata
rimozione o delocalizzazione dei siti contaminanti o potenzialmente
contaminanti. La risposta data all’epoca dal presidente Zaia, era che
Miteni non è attualmente fonte di pressione, ma che l’inquinamento
apparteneva al passato, cosa che oggi, dopo le verifiche della
provincia, scopriamo non essere vera”.
“Con la mozione presentata oggi assieme al capogruppo del Pd
Fracasso, – concludono – chiediamo di applicare immediatamente il Piano
di tutela delle acque così da consentire, senza ulteriori ritardi e
proroghe, l’effettiva bonifica del terreno sottostante il sito Miteni”.
Anche la pazienza dei cittadini, ed in particolare dl comitato Mamme
Non Pfas, sembra esaurita, anche nei confronti dei livelli più alti, ad
esempio quello europeo che dovrebbe stabilire regole certe e limiti
accettabili riguardo alla presenza di sostanze nocive per la salute
nelle acque potabili. “Dopo un’attenta valutazione e studio della nuova
direttiva europea sulle acque potabili – stigmatizza invece oggi Mamme
No Pfas – abbiamo ritenuto inaccettabili i limiti sui perfluorati e
abbiamo deciso di inviare una serie di osservazioni critiche per mettere
al corrente la Commissione ambiente europea delle gravi conseguenze
sulla salute delle persone, dell’ambiente e dell’economia, derivanti
dall’inquinamento da Pfas. Conseguenze vissute in prima persona dagli
abitanti del Veneto.
“Abbiamo inoltre chiesto – concludono gli attivisti – di avere al
più presto un’audizione presso la Commissione ambiente europea per
esporre le nostre ragioni di fronte a coloro che hanno la grande
responsabilità di decidere se dovremo continuare ad essere avvelenati o
se, finalmente cambierà l’approccio nei confronti dell’acqua: da bene da
sfruttare, avvelenare e su cui fare profitto, a bene comune da tutelare
e da garantire a tutti”.
Vicenza – Esaminati ieri, da parte della
commissione competente, i primi due progetti per far fronte
all’emergenza Pfas, in particolare per far arrivare nelle case della
zona più contaminata un’acqua più pulita attraverso nuove fonti di
approvvigionamento. Ad esaminarli è stata la Commissione progettazione,
composta dai rappresentati degli enti gestori e da quelli della Regione
Veneto e istituita come una delle strutture di supporto a Nicola
Dell’Acqua, commissario delegato in Veneto all’emergenza Pfas.
Il primo intervento, attualmente in fase di progettazione
preliminare, riguarda la costruzione di una condotta di collegamento di
19 chilometri, fra Montecchio Maggiore, Brendola e Madonna di Lonigo. La
tratta servirà a far arrivare da Recoaro, attraverso la condotta
esistente della Valle dell’Agno, acqua di buona qualità nelle centrali
acquedottistiche di Brendola, Sarego e Lonigo. Il progetto prevede una
spesa di 17,9 milioni di euro e verrà seguito dalla società Veneto
Acque, uno dei soggetti attuatori nominati dal Commissario.
Il secondo progetto, sviluppato in fase definitiva e pensato per
fornire al serbatoio di Lonigo nuove risorse idriche provenienti dalla
pianura ad est di Verona, prevede la realizzazione di sei nuovi pozzi
per l’attingimento dalle falde di Belfiore e la costruzione di una
condotta di 18 chilometri che da qui porti l’acqua alla centrale di
Madonna di Lonigo. L’intervento, di competenza di Acque Veronesi,
costerà 21 milioni di euro.
Pfas, al lavoro per imporre dei limiti ma anche per fornire acqua pulita
„
Pfas, al lavoro per imporre dei limiti ma anche per fornire acqua pulita
A livello
nazionale ed europeo si studia la possibilità di mettere dei paletti
alla presenza di Pfas nelle acque. Nel frattempo, si progettano
interventi per fornire acqua di buona qualità ai cittadini dei territori
contaminati
La Redazione
Pfas, al lavoro per imporre dei limiti ma anche per fornire acqua pulita
„
Istituire dei limiti alla presenza di Pfas nell'acqua. È un impegno preso a livello nazionale
dal ministro dell'ambiente Sergio Costa nel suo incontro con una
rappresentanza dei comitati veneti No Pfas. Ma pare che sia anche una
direzione presa dal Parlamento Europeo, che ad ottobre dovrebbe varare
una direttiva sulla potabilità dell'acqua contenente dei rigidi limiti
per i Pfas nelle acque. Il problema ha dunque superato i confini del
Veneto, regione in cui è stata accertata una vasta contaminazione tra le
province di Verona, Vicenza e Padova.
La politica si sta dunque muovendo per mettere dei paletti, ma poi
serve anche l'impegno a fare in modo che questi paletti siano rispettati
e che quindi i cittadini non bevano acqua piena di Pfas. Ed è il lavoro
intrapreso da Nicola Dell'Acqua, commissario delegato all'emergenza Pfas in Veneto.
A supportare Dell'Acqua è stata istituita anche una commissione
progettazione, composta da rappresentati degli enti gestori del servizio
idrico e della Regione Veneto. Questa commissione ha esaminato ieri, 12
settembre, due progetti. Il primo intervento, giunto alla fase di
progettazione preliminare, riguarda la costruzione di una condotta di
collegamento di 19 chilometri fra Montecchio Maggiore, Brendola e
Madonna di Lonigo. La tratta servirà a far arrivare da Recoaro,
attraverso la condotta esistente della Valle dell'Agno, acqua di buona
qualità nelle centrali acquedottistiche di Brendola, Sarego e Lonigo.
Questo progetto ha un importo complessivo di 17,9 milioni di euro e
verrà seguito dalla società Veneto Acque.
Il secondo progetto, sviluppato in fase definitiva, è funzionale a
fornire nuove risorse idriche dalla pianura ad est di Verona
direttamente al serbatoio di Lonigo. Prevede la realizzazione di sei
pozzi nuovi per l'attingimento dalle falde di Belfiore e
la costruzione di una condotta di 18 chilometri che da qui porti
l'acqua alla centrale di Madonna di Lonigo (VI). Un intervento pari a 21
milioni di euro di competenza di Acque Veronesi.
Acqua, Legambiente consegna al ministero Ambiente firme petizione “Basta Pfas”
Legambiente ha consegnato al ministro dell’Ambiente Sergio
Costa le firme della petizione “Basta Pfas” che finora ha raccolto
l’adesione di oltre 14 mila persone. La denuncia riguarda l’inquinamento
da sostanze perfluoroalchiliche nelle acque di tre province venete
(Vicenza, Verona e Padova) e di 24 Comuni parte della “zona rossa”.
La maggior indiziata, spiega Legambiente, è la Miteni Spa, ex Rimar,
una fabbrica chimica che insiste sui territori di Trissino (Vicenza).
Oggi
dunque il presidente di Legambiente Stefano Ciafani, insieme a
Piergiorgio Boscagin del circolo Legambiente Perla Blu di Cologna Veneta
(Vr) e del Coordinamento Acqua Libera dai Pfas, ha consegnato al
ministro dell’Ambiente Sergio Costa le firme raccolte per la petizione “Basta Pfas” proposta da Legambiente e dal Coordinamento Acqua Libera dai Pfas. Nella petizione si chiede di normare
la presenza delle sostanze perfluoroalchiliche nelle acque di falda,
uniformandola ai valori più restrittivi vigenti nel mondo. A
cinque anni dalla conferma dell’inquinamento da Pfas in Veneto, infatti,
i limiti previsti dalla normativa regionale e nazionale sono
considerati insufficienti, mentre mancano limiti precisi per le matrici
alimentari e per la presenza dei contaminanti nei terreni.
“Convinti che queste sostanze tossiche non debbano in alcun modo
essere presenti nelle acque, nei terreni, negli alimenti né tanto meno
nel nostro sangue e in quello dei nostri figli – scrivono al ministro
Costa, nella lettera di accompagnamento alle firme, Stefano Ciafani,
Piergiorgio Boscagin e il presidente di Legambiente Veneto Luigi Lazzaro
– le chiediamo di attivarsi in prima persona per la messa al bando delle sostanze perfluoroalchiliche, in modo da tutelare l’ambiente e la salute di tutti i cittadini,
e far sì che l’Italia sia un esempio virtuoso per tutti i Paesi
dell’Unione Europea”. Le analisi avviate dalla Regione Veneto nel 2016
hanno finora evidenziato che almeno nel 30% della popolazione analizzata residente nella zona rossa sono stati trovati valori altissimi di Pfas.
Fra l’altro il tempo scorre: la conferma dell’inquinamento da Pfas
nelle acque di falda e potabili è del 2013 ma a oggi, denuncia
Legambiente, “né la fonte di inquinamento è stata rimossa, né sono
iniziati i lavori per le prese di approvvigionamento da fonti sicure per
gli acquedotti inquinati”.
“Sin dall’inizio di questa vicenda – prosegue la lettera di
Legambiente a Costa – assistiamo in varie occasioni a continui rimpalli
di responsabilità e di competenze tra i vari enti locali, regionali e
nazionali, soprattutto per ciò che riguarda i fondi per la realizzazione
delle nuove prese a servizio dei gestori dei servizi idrici e per
l’istituzione di limiti normativi alla presenza di Pfas nelle acque.
Appare dirimente un chiarimento sulle competenze e una maggiore
collaborazione tra le istituzioni con l’obiettivo comune di arrivare
quanto prima alla soluzione del problema”. Per Legambiente è “prioritaria
la valutazione della sussistenza della nuova ipotesi introdotta dalla
recente legge sugli ecoreati, che prevede, tra l’altro, la
responsabilità giuridica delle aziende e l’obbligo di
Dopo la
conferenza dei servizi che avrebbe dato il là alla Miteni alla procedura
di risanamento del suolo, ora gli occhi sono puntati sulla vigilanza di
Regione e procura
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Seguici su Facebook: http://www.facebook.com/pages/VicenzaToday/212021655498004Il lungo iter della bonifica del sito e del sottosuolo della
Miteni sembra essere giunto ad un punto di svolta. Da una parte la
società trissinese finita al centro di un maxi caso di contaminazione
che coinvolge tutto il Veneto centrale, si dice fiduciosa
. E dice di avere trovato una sostanziale intesa con la Regione.
Quest’ultima prende le distanze e spiega che quella procedura è stata la
stessa Regione a doverla imporre
. Nel frattempo la magistratura ha messo i sigilli ad un pozzo della
ditta sotto al quale sarebbero state ritrovate sostanze nocive.
IN ATTESA DELLE CARTE
In queste ore i gruppi di ambientalisti che seguono il cosiddetto
affaire Pfas sono in attesa dei documenti. Due giorni fa infatti la
conferenza dei servizi che tra Regione, Arpav, provincia berica, Ulss e
Comune di Trissino, sta seguendo l’iter della bonifica, ha redatto un
poderoso verbale. Quest’ultimo, unito alla relazione del professore
Giampietro Beretta dell’Università di Milano, sarà l’architrave della
fotografia sull’inquinamento presente sotto la Miteni (in gergo si dice
caratterizzazione) e del conseguente piano di bonifica.
«Procederemo con un formale accesso agli atti per capire se quella
bonifica sarà degna di questo nome o no. Pretendiamo una bonifica senza
se e senza ma» fa sapere Piergiorgio Boscagin (in foto una
manifestazione contro la Regione), responsabile di Legambiente di
Cologna Veneta, uno dei volti storici nella battaglia contro i Pfas. Il
quale aggiunge: «In ossequio ai principi di trasparenza tanto osannati a
palazzo Balbi ci saremmo aspettati di vedere allegate quelle carte ai
comunicati stampa che la giunta regionale del Veneto ha dispensato in
queste ore.
Dello stesso tenore è la reazione di Giuseppe Ungherese, responsabile
per le campagne ambientali di Green Peace, altra associazione che sul
caso Pfas sta dando filo da torcere non solo a Miteni, ma pure alla
Regione: «Senza vedere i documenti è difficile dare un giudizio ma noi
staremo sotto agli uffici, questo è chiaro». Maria Chiara Rodeghiero,
volto noto di Medicina democratica del Veneto dal canto suo si rivolge
direttamente agli uffici giudiziari: «La procura deve chiedere al
giudice un sequestro cautelativo dell’impianto. Per la Miteni il tempo è
scaduto».
VERSANTE POLITICO
Sul versante politico è il M5S che dai banchi della opposizione punta
l’indice non solo contro la maggioranza di centrodestra che regge le
sorti di palazzo Ferro Fini e della giunta, bensì proprio contro la
macchina regionale: «Apprendiano che Miteni avrà altri sessanta giorni
di respiro, visto che in questo lasso di tempo dovrà presentare e
depositare presso la Magistratura il proprio piano di bonifica - dicono
parlamentari, consiglieri regionali e consiglieri comunali del Movimento
5 Stelle del Veneto - finiti questi due mesi quanti gliene verranno
ancora concessi? Ricordiamo che la caratterizzazione del sito su cui
insiste la Miteni è sotto indagine da almeno tre anni, e che il
governatore leghista Luca Zaia ordinò già nel 2017 ben 7000 carotaggi.
Dove sono finite tutte queste belle premesse?».
Parole cui si uniscono quelle del consigliere regionale Manuel
Brusco: «Mi sto già muovendo per capire le responsabilità di Arpav dal
2005 in poi, non solo a fronte di quanto emerso nei giorni scorsi, ma
anche in merito a quanto sollevato dal M5S nel novembre 2017, ovvero che
Miteni, in base alla relazione dei Noe, già era a conoscenza della
gravità della situazione. Non verrà risparmiato niente a nessuno. E chi
ha sbagliato o ha fatto finta di non vedere non dormirà più sonni
tranquilli».
PASSAGGIO CRUCIALE
Ora le sorti delle riparazioni ambientali assumono un significato
particolare sia per valutare la vicenda nel suo complesso sia per
valutare l’operato della magistratura.
Proprio Vicenzatoday.it l'8 giugno rivelò infatti i contenuti di un delicatissimo colloquio
tra l’amministratore delegato di Miteni Antonio Nardone ed alcuni
collaboratori. In quella circostanza Nardone proferì una frase
sibillina: «Noi stiamo avendo molti più contatti con gli enti di
controllo per la bonifica... stiamo procedendo molto speditamente... ho
accennato loro delle difficoltà finanziarie della Miteni... sembra che
un po’ abbiano capito e stanno cercando di accelerare». A che cosa si
riferiva Nardone esattamente? Chi tra gli enti di controllo ha capito o
avrebbe capito il peso «delle difficoltà finanziarie della Miteni» tanto
che, sostenne ancora Nardone in quel frangente, non si sarebbe
proceduto con indagini sotterranee a maglia stretta su tutto il sedime
aziendale? La frase precisa che pronunciò Nardone in quella circostanza
fu infatti «la maglia dieci metri per dieci metri non si farà su tutta
la Miteni ma si farà solo sulla parte dell’argine» in cui «c’è più
probabilità di trovare della roba». Si tratta di considerazioni astratte? O Nardone parla perché
effettivamente ha avuto garanzie da qualcuno? La procura è a conoscenza
di quelle frasi? Quanto quell’uscita potrebbe avere a che fare con il
piano di caratterizzazione e col conseguente progetto di bonifica
discusso due giorni fa? In termini finanziari sarà un piano light, come
si tratteggiò nello scenario descritto su questo giornale appunto l’8
giugno? Quanto i due mesi concessi alla Miteni hanno a che fare con la
proposta di concordato che è al vaglio del tribunale berico? E quanto
tale bonifica peserà nelle poste che i curatori del concordato stanno
soppesando?
Si tratta di quesiti cruciali rispetto ai quali c’è una sola
certezza. Se al privato non sarà imposta una bonifica «a tutto tondo che
riguardi non solo il suolo sotto la Miteni, ma anche la contaminazione
eventualmente riscontrata altrove» gli ambientalisti, lo hanno ribadito a
più riprese, sono pronti a saltare alla giugulare degli enti pubblici.
UN ASPETTO GIURIDICO CHE PESA
La delicatezza del passaggio si spiega in primis per una motivazione
giuridica. Il reato di omessa bonifica, che è un reato persistente e che
non si prescrive se la situazione rimane inalterata, si materializza
solo se l’eventuale responsabile non ottempera alla disposizione di un
ente titolato ad emanarlo (può essere la Regione, l’Arpav, una provincia
o un comune) o non ottempera ad un ordine della autorità giudiziaria.
L’aspetto enigmatico dell’affaire Pfas è che di fronte ad una vicenda
di tale portata in molti si sarebero aspettati che l’ordine della
bonifica, dopo essere stato adeguatamente redatto in termini di costi e
di modalità operative, partisse proprio dalla autorità giudiziaria. Cosa
che fino ad oggi non è accaduta. Come se la magistratura procedesse
quatta quatta in scia alla Regione pur a fronte dello straordinario
potere conferitole dalle norme penali.
Ed è proprio in questa chiave che le decisioni assunte in conferenza dei servizi assumono una valenza cruciale.
Perché, se per mera ipotesi, gli enti pubblici confezionassero un
ordine di bonifica leggero, la Miteni eviterebbe di incappare in un
reato insidiosissimo semplicemente ottemperando a prescrizioni all’acqua
di rose. Diverso invece è il caso in cui la pubblica autorità emanasse
un ordine di portata colossale. In quel caso il privato, forse assieme
ai soci reali della spa, sarebbe messo con le spalle al muro: obbligato
cioè a impegnarsi in maniera straordinaria sul piano operativo che
economico. In caso contrario la sua responsabilità sfocerebbe in un
processo dall’esito assai prevedibile senza nemmeno la via di uscita
della prescrizione. Il che poi darebbe la stura ad una serie di
richieste di danno in sede civile potenzialmente incalcolabili per la
proprietà.
IL POZZO “NERO”
In queste ore per di più l’azienda deve fronteggiare anche la vicenda
del materiale inquinante rinvenuto in uno dei pozzi attivi per il
contenimento degli inquinanti. Secondo quanto riportato dal Corveneto
on-line del 6 settembre è emerso che sotto quel pozzo sarebbero presenti
alcune temibili sostanze chimiche: pece nera e Pfas a catena lunga
ovvero Pfos, Pfoa e altri, non più prodotti in Miteni dal 2011, in quantità molto superiori alla media delle rilevazioni precedenti.
La società replica che «Il pozzo ha fatto il suo lavoro. E che il
percolato liquido aspirato è di decenni orsono, prevalentemente
benzotrifluoruri scesi a 25 metri di profondità. È accaduto a inizio
agosto. E presumibilmente la procura ha fatto il sequestro per poter
fare una verifica con un suo consulente.
Trattandosi di materiale più pesante dell’acqua - prosegue l’azienda
sentita dal Corveneto - si è accumulato in fondo ma il pozzo lo ha
pescato e aspirato: è un esempio di efficacia della barriera, non un
problema».
Ai primi del mese per di più tra Arpav e azienda era andato in scena
un battibecco. Quest’ultima sostiene infatti che la contaminazione da
GenX in falda (un altro “cugino” dei Pfas lavorato in passato dalla
Miteni) sia finito per l’appunto in falda a causa dei carotaggi (che
secondo alcune voci circolate nella galassia ambientalista fino ad oggi
sarebbero stata comunque ben poca cosa) che gli enti hanno imposto alla
Miteni per radiografare lo stato del sottosuolo. Una ipotesi seccamente
respinta al Mittente da Arpav la quale spiega che nessun inquinamento è
addebitabile alla condotta dell’agenzia.
LA NOVITÁ
Frattanto a l’associazione arzignanese Cillsa, che da tempo si spende sul piano delle battaglie ambientali, sul suo blog commenta molto entusiasticamente la
decisione della agenzia alimentare europea, l’Efsa, di abbassare «di
1500 volte la quantità di Pfas» tollerabile nei cibi e nell’acqua
potabile. «I valori proposti... fanno giustizia di tutti i limiti di
tolleranza farlocchi inventati e ripetutamente modificati, per l'acqua e
per gli alimenti in questi ultimi anni». Appresso un duro j’accuse:
«Adesso inizia la guerra da parte delle multinazionali dei Pfas e della
diossina finalizzata a vedere innalzati i limiti di tolleranza. Speriamo
che almeno questa volta si riesca a far valere il diritto alla salute
su quello al profitto». Del caso Pfas per di più si è occupato pure il
consigliere regionale democratico Andrea Zanoni
L’ATTEGGIAMENTO DELL’ESECUTIVO
Rimane poi da capire quale con quale stato d’animo la giunta
regionale abbia accolto la notizia della maxi sanzione amministrativa
(quasi 3,7 milioni di euro) patita da Miteni per omessa comunicazione
ambientale, un mese e mezzo fa. Quello che è certo infatti è che
l’esecutivo è entrato in possesso ufficialmente di un lungo estratto della multa elevata dal Noe il 24 luglio. Il documento che Vicenzatoday.it è in grado di mostrare in anteprima porta
la medesima data e il protocollo numero 309128. I motivi per cui
l’esecutivo guidato dal leghista Luca Zaia, pur a fronte dei numerosi
richiami in materia di trasparenza, non abbia mai reso pubbliche quelle carte è tutto da chiarire.
Del verbale del Noe peraltro si è occupato in queste ore anche il
consigliere regionale Andrea Zanoni del Pd che sul portale notizie della
Regione veneto ha lanciato una stilettata proprio all’indirizzo della fabbrica trissinese. “
Venezia – Decisamente, a Venezia, in Regione del Veneto, non hanno gradito le affermazioni di oggi della
Miteni di Trissino, o quantomeno non è piaciuta l’interpretazione che
l’azienda, considerata la principale responsabile del disastro Pfas, ha
dato sulla conferenza di servizi che si è tenuta ieri e che ha stabilità
i tempi della bonifica del siti industriale. Dopo le piccate precisazioni
della giunta regionale, ecco intervenire ora l’assessore all’Ambiente,
Giampaolo Bottacin, che ricorda all’azienda come il progetto di bonifica
entro 60 giorni sia stato imposto, a Miteni, dalla Regione, e che ora
non ci sono più alibi.
“La svolta – ha detto Bottacin – l’ha data la relazione presentata
ieri dal prof. Beretta, del Politecnico di Milano, incaricato dalla
Regione come esperto per gli aspetti idrogeologici della questione, che
abbiamo dovuto attivare in sostituzione delle attività non svolte dalla
Miteni. Beretta ha approfondito e chiarito tutti gli aspetti poco o non
considerati dall’Azienda che, secondo la stessa, non avrebbero
consentito di presentare il progetto di bonifica”.
“Beretta – ha aggiunto Bottacin – è stato incaricato alla luce dei
ritardi dell’azienda nel procedere con il Piano di bonifica, e ha messo a
disposizione tutti gli elementi conoscitivi necessari, che hanno
vanificato gli atteggiamenti dilatori con motivazioni legate alla
presunta non conoscenza degli aspetti idrogeologici. Da oggi, anzi da
ieri, la Miteni non può più astenersi dal realizzare la bonifica entro i
tempi definiti”
Di
sicuro la sacca inquinante è sotto la Miteni che dovrebbe essere chiusa
per smantellare bene e capire cosa c'è sotto. Intanto un pozzo è stato
sigillato
Martedì 04.09.2018
Tema: Europa, PFAS e il Veneto assente!
Destinazione: Europa
Nuovi aggiornamenti dal 38° simposio dell’Efsa (Ente europeo per la
sicurezza alimentare): apprendiamo una prima proposta di revisione delle
TDI (dose giornaliera ammissibile), che da settembre verrà discussa in
Europa. Per le acque potabili per i PFOA corrisponde a 0,6 ng/kg settimanale.
Anche se ritengo sia ancora alto, parliamo di un valore 1500 volte più basso di quello del 2008.
Gli studi per stabilire i valori guida hanno valutato il caso
americano, con 14000 contaminati, e quello svedese, poco più di 700
persone. E i 150mila veneti? Spiace molto non vedere il caso Veneto
presentato al simposio, visto che il nostro inquinamento è il più grande
e vasto caso di contaminazione di acqua potabile d’Europa.
Il
Veneto, che “sta facendo scuola” come dichiara il nostro Governatore
spesso e volentieri, dov’è? Ricordo che il Veneto ha anche un ufficio a
Bruxelles e che deve attivarsi assieme al Governo.
In Europa ci sono andate le Mamme No Pfas: la regione ne segua l’esempio!
Vi lascio con la lettura dell’articolo, con particolari interessanti, pubblicato da SIVEMP ➡️https://bit.ly/2NMsifh
Dopo
il confronto e dibattito d' apertura di Fornaci Rosse, il report di
Vicenza Today. "In Regione potrebbero insabbiare...". Dure le parole di
Peruffo nei confronti della Procura: "Passato il termine, se non avremo
risposte noi la sfiduceremo."
L'INCHIESTA DI MARCO MILIONI E' arrivata in nottata la pubblicazione dell'inchiesta che il giornalista Marco Milioni
aveva annunciato per l'incontro di ieri sera. A conclusione del breve
tempo concessoci durante l'incontro e per anticipare questa importante
inchiesta, vorrei sottolineare questo pensiero: siamo sempre più
preoccupati della SALUTE di enti come ARPAV e SPISAL, spesso sotto
organico ed eterodiretti da forze che non hanno niente a che fare con la
salute e con l'ambiente. Lo dimostra il
comportamento criminoso di dirigenti come il Dott. Fiorio e di altri
suoi colleghi (sarà la Procura a pronunciarsi sul "criminale") che
spostano gli operai della Miteni quando nel loro sangue le soglie sono
oltre misura, contaminandone altri (comportamento perseguibile sotto la
Direttiva Seveso), o lo strano avvicendamento/uscita del Dott.
Dell'Acqua che tra qualche mese lascerà la direzione dell'ARPAV per non
far sì che Zaia bruci il suo miglior supertecnico nel momento in cui la
stessa Agenzia sarà investita da un ciclone senza precedenti. Di cui la
Regione stessa è colpevole.
La cattiva salute di ARPAV, SPISAL, politica, sindacati, si riflette sulla nostra salute di cittadini. Ribellatevi.
Rubrica
pillole di Pfas: Chi si occupa di ambiente (e continua a lamentarsi
della mancanza e/o carenza di controlli da parte di ARPAV) dovrebbe
leggersi con attenzione la sottostante DGRV (anche per capire quanto
poco la tutela ambientale sia effettivamente di interesse per chi, da
tempo immemore, sta governando la Regione Veneto).
La stessa Giunta
regionale afferma, nella propria delibera, che dal 2010 al 2017 ARPAV
ha avuto una riduzione del 23% degli effettivi (sarebbe
interessante conoscere, al proposito, l'eventuale riduzione di
personale del decennio precedente), con "perdita di specifiche
professionalità" e "progressivo invecchiamento del personale" (con età
media dei dipendenti che supera i 50 anni)!!!!! A fronte di questa
situazione, il programma di assunzione di nuovo personale (che,
recentemente, Dell'Acqua aveva pubblicamente annunciato, quale
rafforzamento della capacità di vigilanza e controllo da parte di ARPAV)
si svela in realtà essere, almeno per il momento, una mera copertura
del 75% delle cessazioni che vi sono state tra il 01/01/2017 e il
30/04/2018. Nessun rilancio, quindi, ma un semplice rallentamento del processo di contrazione dell'ARPAV