“Veneto acque”,
3 vie per togliere
i pozzi con i Pfas
Piero Erle
«Quello che vogliamo capire al più presto è quali progetti sono realizzabili prima, per tempo ed efficacia. E intanto speriamo di avere le promesse risorse statali: la prossima settimane incontrerò di nuovo il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti». Così l’assessore regionale all’ambiente Gianpaolo Bottacin spiega l’incarico affidato dalla Regione alla sua società “Veneto acque” - fresca di cambio al vertice con la nomina dell’amministratore unico Gianvittore Vaccari - per individuare i progetti per la “messa in sicurezza delle fonti idropotabili contaminate da sostanze perfluoro-alchiliche”, i famigerati Pfas.
I FILTRI COSTANO TROPPO. Come noto, l’allarme Pfas è scoppiato nella primavera di quattro anni fa, e la Regione ha subito imposto ai gestori di acquedotto di intervenire per ridurre nell’acqua potabile la concentrazione di inquinanti (che prima non era mai stata misurata). Già a settembre i valori dell’acqua nei rubinetti erano «al di sotto dei livelli di performance indicati dall’Iss-Istituto superiore di sanità». La tecnica efficace è stata quella storica dei filtri a carboni attivi: installati nelle centrali di acquedotto «consentono di rispettare i livelli di performance stabiliti dall’Iss per le acque potabili». Con due problemi: comunque i filtri «non sono in grado di consentire la totale assenza di tali composti dalle acque potabili distribuite in rete», e in più occorre «una frequente sostituzione dei filtri installati, con un costo gestionale che si riflette necessariamente in misura non trascurabile» sulle bollette. Quindi i filtri non possono essere una soluzione definitiva. Anche perché l’inquinamento della falda in zona Chiampo e aree del Vicentino e Padovano non vedrà una soluzione di bonifica a breve.
IL PIANO. La conclusione è stata indicata da tempo dai tecnici: chiudere il prelievo dai pozzi di Almisano (500 litri al secondo circa) e portare con nuove tubazioni alla centrale di Lonigo altra acqua “pulita” del Veneto creando una rete che colleghi tra loro pozzi e centrali già esistenti. Sono già sei gli incontri fatti tra Regione, Veneto acque e i gestori del servizio idrico. È stata quindi individuata una triplice soluzione, all’interno del grande Modello strutturale degli acquedotti varato dalla Regione nel 2000. Primo, il prelievo dell’acqua nell’area del Brenta a Carmignano, dove “Veneto acque” sta potenziando il sistema veneto, con una condotta che porti poi l’acqua a ovest lungo l’A4 fino a Lonigo. Secondo, portare acqua dal sud verso Almisano, utilizzando strutture già esistenti. Terzo, una condotta dal Veronese.
LE PRIORITÀ. Sarà Veneto acque, a breve, a dire quali sono le soluzioni su cui puntare prima. Sembra tramontata una priorità per il “tubo” veronese. «Sarà Veneto acque a indicare la priorità, ma al momento - spiega l’assessore Bottacin - pare che sia più avanzata l’ipotesi dell’approvvigionamento dal sud, mentre quella più efficace è quella dell’utilizzo delle falde sotto il Brenta». C’è il problema risorse, ovviamente. Veneto acque ha 88 milioni di finanziamento Bei per realizzare il piano acquedotti “ordinario” «ma questa è una situazione straordinaria e va detto che la Regione ha già speso circa 500 milioni per la vicenda Pfas, mettendo assieme i fronti sanitario, acquedottistico, ambientale. Li abbiamo chiesti al Governo, e a fronte di 20 miliardi di tasse venete che restano a Roma merita certo che ci venga data una riposta per un’emergenza come questa. Ci hanno annunciato 80 milioni per gli acquedotti: il dialogo con il ministro Galletti c’è, mi auguro possano arrivarci al più presto - conclude Bottacin - per iniziare gli interventi individuati come priorità dalla nostra azienda».
«Quello che vogliamo capire al più presto è quali progetti sono realizzabili prima, per tempo ed efficacia. E intanto speriamo di avere le promesse risorse statali: la prossima settimane incontrerò di nuovo il ministro dell’ambiente Gian Luca Galletti». Così l’assessore regionale all’ambiente Gianpaolo Bottacin spiega l’incarico affidato dalla Regione alla sua società “Veneto acque” - fresca di cambio al vertice con la nomina dell’amministratore unico Gianvittore Vaccari - per individuare i progetti per la “messa in sicurezza delle fonti idropotabili contaminate da sostanze perfluoro-alchiliche”, i famigerati Pfas.
I FILTRI COSTANO TROPPO. Come noto, l’allarme Pfas è scoppiato nella primavera di quattro anni fa, e la Regione ha subito imposto ai gestori di acquedotto di intervenire per ridurre nell’acqua potabile la concentrazione di inquinanti (che prima non era mai stata misurata). Già a settembre i valori dell’acqua nei rubinetti erano «al di sotto dei livelli di performance indicati dall’Iss-Istituto superiore di sanità». La tecnica efficace è stata quella storica dei filtri a carboni attivi: installati nelle centrali di acquedotto «consentono di rispettare i livelli di performance stabiliti dall’Iss per le acque potabili». Con due problemi: comunque i filtri «non sono in grado di consentire la totale assenza di tali composti dalle acque potabili distribuite in rete», e in più occorre «una frequente sostituzione dei filtri installati, con un costo gestionale che si riflette necessariamente in misura non trascurabile» sulle bollette. Quindi i filtri non possono essere una soluzione definitiva. Anche perché l’inquinamento della falda in zona Chiampo e aree del Vicentino e Padovano non vedrà una soluzione di bonifica a breve.
IL PIANO. La conclusione è stata indicata da tempo dai tecnici: chiudere il prelievo dai pozzi di Almisano (500 litri al secondo circa) e portare con nuove tubazioni alla centrale di Lonigo altra acqua “pulita” del Veneto creando una rete che colleghi tra loro pozzi e centrali già esistenti. Sono già sei gli incontri fatti tra Regione, Veneto acque e i gestori del servizio idrico. È stata quindi individuata una triplice soluzione, all’interno del grande Modello strutturale degli acquedotti varato dalla Regione nel 2000. Primo, il prelievo dell’acqua nell’area del Brenta a Carmignano, dove “Veneto acque” sta potenziando il sistema veneto, con una condotta che porti poi l’acqua a ovest lungo l’A4 fino a Lonigo. Secondo, portare acqua dal sud verso Almisano, utilizzando strutture già esistenti. Terzo, una condotta dal Veronese.
LE PRIORITÀ. Sarà Veneto acque, a breve, a dire quali sono le soluzioni su cui puntare prima. Sembra tramontata una priorità per il “tubo” veronese. «Sarà Veneto acque a indicare la priorità, ma al momento - spiega l’assessore Bottacin - pare che sia più avanzata l’ipotesi dell’approvvigionamento dal sud, mentre quella più efficace è quella dell’utilizzo delle falde sotto il Brenta». C’è il problema risorse, ovviamente. Veneto acque ha 88 milioni di finanziamento Bei per realizzare il piano acquedotti “ordinario” «ma questa è una situazione straordinaria e va detto che la Regione ha già speso circa 500 milioni per la vicenda Pfas, mettendo assieme i fronti sanitario, acquedottistico, ambientale. Li abbiamo chiesti al Governo, e a fronte di 20 miliardi di tasse venete che restano a Roma merita certo che ci venga data una riposta per un’emergenza come questa. Ci hanno annunciato 80 milioni per gli acquedotti: il dialogo con il ministro Galletti c’è, mi auguro possano arrivarci al più presto - conclude Bottacin - per iniziare gli interventi individuati come priorità dalla nostra azienda».