martedì 26 dicembre 2017

Veneto, scontro Ministero-Regione sulle cure per i contaminati dai Pfas. Sospesi i trattamenti di plasmaferesi

Veneto, scontro Ministero-Regione sulle cure per i contaminati dai Pfas. Sospesi i trattamenti di plasmaferesi

pfasInviati dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, venerdì scorso i carabinieri del Nas si sono presentati negli uffici della Regione Veneto per acquisire la documentazione sulla plasmaferesi, la cura a cui la sanità regionale ha iniziato a sottoporre le persone contaminate dai Pfas, sostanze perfluoroalchiliche riconosciute come interferenti endocrini correlati a patologie riguardanti pelle, polmoni e reni. L’inquinamento, scoperto nel 2013, interessa una sessantina di Comuni nelle province di Vicenza, Verona e Padova, e probabilmente è in corso da decenni dato che la principale fonte sospettata è l’impianto della Miteni, entrato in attività nel 1964 e specializzato nella produzione di molecole fluorurate per la farmaceutica, l’agricoltura e l’industria tecnica. Veicolati dall’acqua, i Pfas hanno contaminato anche la catena alimentare. L’Istituto superiore di sanità ha stimato che 250 mila persone abbiano utilizzato per anni acqua potabile inquinata da queste sostanze e che siano 60 mila quelle interessate da un livello maggiore di contaminazione.
Gli accertamenti dei Nas sono avvenuti mentre, a Padova, il direttore generale della sanità regionale, Domenico Mantoan, illustrava ai giornalisti i risultati dell’utilizzo della procedura di plasmaferesi sulle persone contaminate, affermando che nelle 70 persone che si sono sottoposte a questa cura, di cui 30 hanno già terminato il ciclo di sei trattamenti, si è registrata una diminuzione media dei Pfas pari al 35%, senza che si siano verificati effetti collaterali. La Regione ha iniziato a sottoporre a questa cura, a ottobre, i cittadini che ne hanno fatto richiesta e che presentano una concentrazione di Pfas tra i 100 e i 200 ng/ml. La plasmaferesi consiste nella separazione della componente liquida del sangue, cioè il plasma, dalla componente cellulare, per la rimozione dal sangue degli agenti inquinanti chimici.
La Regione, però, ha deciso di sospendere questa cura, dopo che due giorni prima dell’ispezione dei carabinieri, nel corso di un question time alla Camera dei deputati, il ministro Lorenzin ha risposto a un’interrogazione del Pd affermando che “il ministero della Salute e l’Istituto superiore di sanità non sono mai stati formalmente interessati dalla Regione Veneto circa l’utilizzo di questa terapia” e che “non risultano evidenze scientifiche né specifiche raccomandazioni in ordine alla possibilità di rimuovere gli Pfas o gli Pfoa attraverso l’uso della plasmaferesi: anzi, le più recenti linee guida in materia non includono detti contaminanti tra gli agenti inquinanti che possono essere rimossi con tale tecnica. Il ricorso alla plasmaferesi è infatti fortemente sconsigliato proprio in quelle situazioni particolari e rare (ed è questo il caso dell’inquinamento da Pfas e Pfoa, presente nella sola regione Veneto) in cui si registra una specifica tipologia di inquinamento ambientale”.
Il ministro aveva annunciato che avrebbe valutato “l’adozione di un’iniziativa volta a tutelare la salute dei cittadini veneti”, dato che “la plasmaferesi è una terapia fortemente invasiva” e “la regione Veneto, prima di sottoporre le persone a tale trattamento, avrebbe dovuto procedere ad una preventiva sperimentazione, in particolare nei confronti dei bambini e degli adolescenti, maggiormente esposti a possibili conseguenze dannose per la salute”.
La Regione ha replicato con un comunicato, in cui afferma che l’atto con il quale la giunta regionale del Veneto ha approvato le procedure per l’utilizzo della plasmaferesi o dello scambio plasmatico per abbattere la contaminazione da Pfas è stato inviato al ministero della Salute con lettera formale del 4 luglio 2017.
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venerdì 15 dicembre 2017

Plasmaferesi in Veneto. Lorenzin: “Nessuna evidenza scientifica su possibilità di rimuovere PFAS o PFOA attraverso uso plasmaferesi”


Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Venerdì 15 DICEMBRE 2017
Governo e Parlamento

Plasmaferesi in Veneto. Lorenzin:Nessuna evidenza scientifica su possibilità di rimuovere PFAS o PFOA attraverso uso plasmaferesi”

Lo ha detto oggi alla Camera il ministro rispondendo al question time dell’onorevole Narduolo (PD). Il ricorso alla plasmaferesi è azi fortemente sconsigliato proprio in quelle situazioni particolari e rare (ed è questo il caso dell'inquinamento da PFAS e PFOA, presente nella sola regione Veneto) in cui si registra una specifica tipologia di inquinamento ambientale”.

13 DIC - Question time oggi alla Camera con protagonista la ministra Lorenzin su tre questioni. La prima riguardava la richiesta dell’onorevole Giulia Narduolo (PD) di avere chiarimenti in merito all'esistenza di linee guida o evidenze medico-scientifiche circa l'efficacia della procedura terapeutica nota come plasmaferesi, anche in relazione alla recente decisione adottata in materia dalla regione Veneto.

Ecco la trascrizione integrale del question time:

Il quesito di Narduolo. La popolazione di tre province del Veneto, Vicenza, Verona e Padova (sono diverse decine di migliaia di persone), da alcuni anni convive con la preoccupazione di abitare in un territorio inquinato dalle sostanze perfluoroalchiliche, conosciute come PFAS. Il mondo scientifico sta ancora studiando gli effetti di queste sostanze sulla salute umana, ma si può comunque dire con certezza che sono sostanze nocive. La regione Veneto ha dato avvio dal mese di giugno di quest'anno ad una procedura su larga scala, appunto la plasmaferesi, con l'obiettivo di abbattere la quantità di PFAS riscontrata nel sangue della popolazione a seguito di un piano di biomonitoraggio avviato sempre dalla stessa regione. Siamo comunque preoccupati per l'effettiva efficacia che questa procedura può avere, soprattutto su soggetti di giovane età, in particolar modo per i ragazzi minorenni e anche sotto i 14 anni. Per questo chiediamo al Ministero della salute se esistono specifiche linee guida, o comunque un protocollo scientifico clinicamente validato, circa l'applicazione della plasmaferesi su larga scala, come sta avvenendo nella regione Veneto.

La risposta di Lorenzin. Prima di fornire gli opportuni chiarimenti su di un tema di particolare delicatezza, quale quello dell'utilizzo della plasmaferesi terapeutica, consistente nella separazione della componente liquida del sangue, cioè il plasma, dalla componente cellulare per la rimozione dal sangue degli agenti inquinanti chimici, quali PFAS e PFOA, voglio precisare che il Ministero della salute e l'Istituto superiore di sanità non sono mai stati formalmente interessati dalla regione Veneto circa l'utilizzo di questa terapia.

Ciò premesso, faccio presente che non risultano evidenze scientifiche né specifiche raccomandazioni in ordine alla possibilità di rimuovere gli PFAS o gli PFOA attraverso l'uso della plasmaferesi: anzi, le più recenti linee guida in materia non includono detti contaminanti tra gli agenti inquinanti che possono essere rimossi con tale tecnica. Il ricorso alla plasmaferesi è infatti fortemente sconsigliato proprio in quelle situazioni particolari e rare (ed è questo il caso dell'inquinamento da PFAS e PFOA, presente nella sola regione Veneto) in cui si registra una specifica tipologia di inquinamento ambientale.

Per tali ragioni, e in considerazione anche del fatto che la plasmaferesi è una terapia fortemente invasiva, la regione Veneto, prima di sottoporre le persone a tale trattamento, avrebbe dovuto procedere ad una preventiva sperimentazione, in particolare nei confronti dei bambini e degli adolescenti, maggiormente esposti a possibili conseguenze dannose per la salute.

Concludo rassicurando che ho già chiesto alla regione Veneto maggiori e più dettagliate informazioni in merito, al fine di poter valutare l'adozione di un'iniziativa volta a tutelare la salute dei cittadini veneti.

La replica di Alessia Rotta (PD). Siamo soddisfatti della risposta, ma evidentemente è una risposta che ci preoccupa fortemente, perché ci preoccupa fortemente la salute dei cittadini veneti, dei cittadini veneti colpiti nella cosiddetta zona rossa e dei loro figli. Perché se è accertato, come ci ha appena risposto la Ministra e come ha confermato l'Istituto superiore di sanità, che la plasmaferesi non ha un protocollo scientifico adeguato, noi insieme ai cittadini siamo qui a farci portavoce di questo, della loro preoccupazione: quali altre iniziative si possono mettere in campo? Ed approfittiamo evidentemente di questa occasione per chiedere al Ministero direttamente, con o senza la richiesta della regione Veneto, un interessamento diretto del Ministero della salute, dell'Istituto superiore della sanità, per evidentemente venire incontro alla richiesta e ad un allarme che non è allarmistico, ma è un allarme reale, perché riguarda la salute di migliaia di cittadini e soprattutto di giovani, perché sono certi di avere nel sangue, questo sta dicendo lo screening, delle sostanze altamente pericolose, e non sanno come possono curarsi. Io credo che questo sia un compito del Ministero della salute e un compito nostro, di tutti, per quanto riguarda la protezione dei nostri cittadini.

13 dicembre 2017
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martedì 12 dicembre 2017

Acque destinate al consumo umano. Valori PFAS in vigore dal 3 ottobre 2017

Acque destinate al consumo umano. Valori PFAS in vigore dal 3 ottobre 2017

La Delibera della Giunta Regionale 1590 ha stabilito i valori delle sostanze perfluoroalchiliche per le acque destinate al consumo umano per tutti i comuni del territorio regionale come indicato nella tabella 1.
scarica la DGR 1590/2017
Tabella 1 - Comuni del Veneto: valori delle sostanze perfluoroalchiliche per le acque destinate al consumo umano
PFOA + PFOSAltri PFAS (*)
<= 90 ng/l (di cui PFOS<= 30 ng/l) <= 300ng/l
(*) Altri PFAS: somma di PFBA, PFPeA, PFBS, PFHxA, PFHpA, PFHxS, PFNA, PFDeA, PFUnA, PFDoA.
Per i comuni rientranti nell'Area di Massima Esposizione Sanitaria (tabella 2), individuati dalla DGR 2133/2016, la DGR 1591/2017 ha stabilito che, nell'arco temporale di sei mesi, i valori di PFOA + PFOS dovranno risultare inferiori o uguali a 40 ng/l, grazie all'adozione di una serie articolata di interventi finalizzati a sperimentare tecnologie di trattamento per la riduzione dei carichi inquinanti nelle acque destinate al consumo umano.
scarica la DGR 1591/2017
Tabella 2 - Comuni rientranti nell'Area di Massima Esposizione Sanitaria
ProvinciaComune
VI Alonte
VI Brendola
VI Lonigo
VI Sarego
VI Asigliano Veneto
VI Noventa Vicentina
VI Poiana Maggiore
PD Montagnana
VR Cologna Veneta
VR Pressana
VR Roveredo di Guà
VR Zimella
VR Albaredo d'Adige
VR Arcole
VR Veronella
VR Bevilacqua
VR Bonavigo
VR Boschi Sant'Anna
VR Legnago
VR Minerbe
VR Terrazzo

Valori di PFAS nelle acque destinate al consumo umano nei campioni prelevati all'uscita dagli impianti di potabilizzazione
Dal 5 ottobre 2017 ARPAV ha avviato i campionamenti delle acque destinate al consumo umano all'uscita dagli impianti di potabilizzazione. Il campionamento è giornaliero. Non appena disponibili, i valori rilevati saranno pubblicati sul sito dell'Agenzia.
Azioni sul documento
ultima modifica 16/10/2017 13:44

martedì 5 dicembre 2017

Il punto di vista veterinario. La contaminazione da Pfas negli alimenti: l’anello mancante tra qualità dell’ambiente ed esposizione dell’uomo


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Il punto di vista veterinario. La contaminazione da Pfas negli alimenti: l’anello mancante tra qualità dell’ambiente ed esposizione dell’uomo

I dati prodotti dallo studio sui Pfas in varie matrici alimentari presentati alla stampa il 16 novembre scorso forniscono spunti di approfondimento per la contaminazione ambientale dei suoli agricoli, e per l’apporto di Pfoa da parte di alimenti solidi, di origine animale. Tali elementi non sembra siano stati adeguatamente considerati fino ad ora, dove l’attenzione è stata fondamentalmente rivolta al ruolo delle acque potabili, e all’adozione dei sistemi di depurazione adeguati.

Premessa

La presentazione alla stampa dei risultati analitici su 12 Pfas riscontrati nella cosiddetta area rossa in varie matrici di interesse alimentare è oggetto di grande interesse, specie se correlata alla conoscenza resa disponibile sulla contaminazione della falda da parte di Arpa Veneto, nel corso della Summer School  Assoarpa di Cagliari 27-29  settembre, e più recentemente dalla Regione Veneto e dall’Istituto Superiore di sanità per quanto riguarda lo studio di biomonitoraggio, con particolare riferimento ai residenti nelle area della ex Asl 5 e 6, e indipendentemente dalle Asl ex 5 e 6, nel gruppo di allevatori/agricoltori, nel corso del Convegno nazionale “Ambiente e salute” a Bologna, il 7 e 8 novembre scorso.
Per dare alcune chiavi di lettura dei dati alimentari, sembra opportuno sintetizzare quanto partecipato a Cagliari e a Bologna.

I dati ambientali

A Cagliari Arpa Veneto ha definito in modo tridimensionale e geo-referenziato la contaminazione da Pfas nella falda associata alla pressione industriale della ditta Miteni, e il suo andamento sotterraneo e poi sorgivo. Rispetto all’andamento di tale falda e alla modellizzazione delle dispersioni, tenendo in considerazione i differenti flussi delle acque sotterranee e superficiali, la contaminazione da Pfas rilevata sul territorio è molto più estesa rispetto alla proiezione sulla superficie della area di falda: ciò viene principalmente attribuito ad attività antropiche legate all’agricoltura (irrigazione, fertilizzazione), e alla probabile presenza di altre sorgenti di contaminazione, che ancora non si conosce se siano legate all’attività di produzione dei Pfas. La contaminazione ambientale viene considerata di difficile rimozione, per cui si presume che il problema sarà presente per vari decenni, data la compromissione dell’acquifero indifferenziato, che ha uno spessore di circa 150 metri di ghiaia nella zona “critica”.

Il biomonitoraggio umano

A Bologna, l’illustrazione dei dati di biomonitoraggio ha restituito informazioni sulla presenza significativa di Pfoa nel siero delle persone appartenenti alla zona rossa–esposti, rispetto agli individui delle zone di controllo, con significative differenze nei livelli tra persone appartenenti all’Asl ex 5, alla ex 6, e nel gruppo di allevatori, appartenenti alla cosiddetta area rossa. Gli indicatori statistici evidenziano che il carico corporeo di Pfoa in Asl ex 5 è  tra i più alti descritti nella letteratura internazionale in casi analoghi (vedi studio C8 Ohio/Virginia)  e risulta di un fattore 4-5 più elevato di quello  presente in Asl 6,  che a sua volta differisce significativamente da quello dei gruppi di controllo–non area rossa. In questo contesto, il gruppo di allevatori, indipendentemente dall’appartenenza all’Asl ex 5 o 6, mostra livelli mediani più elevati rispetto al gruppo Asl 5. Questo dato è stato interpretato con la presenza di fattori addizionali all’esposizione a Pfoa rispetto all’acqua, che dalle schede sulle abitudini alimentari raccolte si associa al consumo di vegetali prodotti in loco (cereali, frutta) e di alimenti di origine animale.

I dati alimentari: campionamento ed analisi

Alla luce di questa premessa, i dati scientifici sulla contaminazione degli alimenti  presentati il 16 novembre in conferenza stampa possono essere letti in modo aggregato nel seguente modo, in attesa di una più puntuale ed aperta disponibilità del dato grezzo, di come sia stato prodotto, e di come sia stato elaborato.

La rappresentatività dei  campioni si evince calcolata sulla base di una assunta distribuzione binomiale delle frequenze di contaminazione e della relativa deviazione standard: “Per le matrici non considerate nel precedente campionamento, la numerosità campionaria è stata determinata con lo scopo di stimare la contaminazione media con una precisione pari al 25% della deviazione standard in valore assoluto e una confidenza del 95%”. Tale approccio non è consueto per i contaminanti ambientali persistenti, in cui i descrittori statistici da prendere in considerazione sono oltre la media (meglio geometrica),  la mediana e i vari percentili/interquartili, in virtù delle distribuzione di frequenza asimmetriche, e nel caso, la deviazione assoluta intorno alla mediana. Tali frequenze di distribuzione poi risultano molto differenti tra alimento e alimento, e con profonde differenze ad esempio tra Pfos e Pfoa nelle matrici animali e vegetali.  Questo può avere portato ad una riduzione del numero di campioni, numerosità richiesta per descrivere in modo robusto le alte contaminazioni (alti percentili), che sono estremamente utili per capire sia i dati di biomonitoraggio nel gruppo “allevatori”, sia la presenza di possibili fonti di inquinamento secondarie, segnalato da Arpaveneto.
Il campionamento diretto degli alimenti consumati da tale gruppo allevatori sarebbe probabilmente stato la via maestra, in un quadro di one health, e avrebbe dato peso alle evidenze già acquisite e in parte ovviato alle ristrette numerosità campionarie considerate.
In particolare, appaiono oltremodo critiche le numerosità campionarie per la verdura in foglia, da ritenersi più suscettibile per la contaminazione a Pfas a corta catena. In questo senso, appare meritevole approfondire i riscontri di Pfoa nel mais, a fronte delle mancate rilevazioni di Pfas a corta catena. Questo dato può trovare una spiegazione non nella contaminazione delle acque, ma in quella del terreno, capace di trattenere più efficacemente i Pfas a catena medio-lunga. Questo aspetto viene approfondito in seguito.
I metodi analitici utilizzati non appaiono completamente in linea con lo stato dell’arte sotto alcuni aspetti: a) la correlazione ai consumi della derrata alimentare (gli alimenti più consumati, quali quelli di origine vegetali dovrebbero avere livelli di rilevabilità analitica più performanti: un alimento molto consumato ma poco contaminato può dare apporti equivalenti ad un alimento molto contaminato ma poco consumato); b) l’orientamento, come ad esempio nel caso delle acque potabili, di sommare tra di loro le contaminazioni di Pfas che possono riconoscere la stessa via per determinare l’effetto tossico, che sta portando a rivedere al ribasso i limiti di performance; c) la qualità delle apparecchiature analitiche disponibili presso i laboratori che può permettere livelli prestazionali analitici di garanzia per limitare il numero di campioni con risultati non quantificati; d) la revisione al forte ribasso dei valori guida per le esposizioni alimentari umane, da 1500 ng/kg/giorno per il Pfoa (Efsa 2008) ai 20 ng/kg/giorno della Agenzia Statunitense per l’Ambiente (Us-Epa, 2016).

Da ultimo, nello studio sono stati considerati 12 Pfas in campo alimentare; i rappresentanti Efsa hanno segnalato di considerare 18 Pfas per cui sono disponibili informazioni tossicologiche sufficienti per derivare valori guida per l’esposizione alimentare umana, sia per la possibile tossicità associata, sia perché alcuni PFAS non ricercati sono importanti precursori di Pfos e Pfoa, e dei Pfas a catena corta. Chi sta sul territorio conosce i problemi legati all’abbattimento dei Pfas dagli scarichi industriali, dove in seguito a fermentazioni/ossidazione dei reflui in entrata al depuratore aziendale, si generano concentrazioni di alcuni Pfas più elevate nei reflui in uscita. Un tale approccio sarebbe stato interessante applicarlo ai vini, ottenuti dalla fermentazione delle uve da tavola, possibilmente conoscendo i Pfas precursori prodotti ed utilizzati sul territorio. La liberazione di Pfos e Pfoa da precursori può riguardare anche l’ambito intestinale e contribuire a spiegare i dati di biomonitoraggio umano e animale rispetto alle esposizioni ambientali/alimentari. (nella tabella Epa i Pfas da ricercare)

I dati alimentari spiegano l’esposizione umana?

Nel pesce di cattura da acque dolci, i livelli di contaminazione da Pfos erano ampiamente attesi, specie quando riferiti ai predatori.  Il consumo di tali specie è di solito ristretto a gruppi che appare non incluso nello studio di biomonitoraggio e che vivono di sussistenza anche per le abitudini alimentari etniche, in cui sarebbe lecito attendersi livelli elevati di Pfos nel sangue.
Per contro, non appaiono decisive le contaminazioni per Pfoa nei vegetali per spiegare i dati di biomonitoraggio-allevatori, fatta salva la prestazione dei metodi analitici. In particolare nei vegetali,  sembra trovare riscontro parziale riscontro quanto segnalato da Arpa veneto riguardo una estensione della contaminazione da Pfas rispetto alla falda dovuta a pratiche agricole, e soprattutto, la attesa maggiore presenza di Pfas a catena corta, dotati di maggiore mobilità rispetto al Pfoa, e quindi più efficaci nel passaggio dalla matrice suolo a quella vegetale, attraverso l’assorbimento radicale.
Il discorso delle positività nei maiali – muscolo/fegato a Pfoa e in secondo ordine delle uova può essere l’aspetto veramente interessante, che può sottolineare come la contaminazione sia tuttora presente e insista in modo importante in ambiente zootecnico, anche per fattori non legati all’acqua: questo per la durata abbastanza contenuta della vita zootecnica degli animali che riduce il tempo di esposizione/bioaccumulo, per il contatto prolungato in atteggiamento esplorativo (grufolamento, razzolamento) con il terreno alla ricerca di una risorsa alimentare, e per la possibile alimentazione zootecnica  a base di mais aziendale (contaminato).
Questo dato sposta quindi l’attenzione dal fattore acqua al fattore suolo, laddove il Carbonio organico presente nel’humus del suolo superficiale è in grado di concentrare di circa 1000 volte Pfos e Pfoa presenti nelle acque di irrigazione e meteoriche, laddove l’apporto non provenga da ammendanti compostati da fanghi di depurazione. In un terreno al 3% di Carbonio organico irrigato con acqua contenente Pfoa a 500 ng/L, ci si aspettano concentrazioni di 15 ng/g, ordine di grandezza compatibile con la rilevata contaminazione nel mais, tenendo presente i fattori di trasferimento.
In particolare risulta interessante osservare come il Pfos, a più elevato bioaccumulo rispetto al Pfoa, spunti concentrazioni inferiori. Questo dato è in controtendenza rispetto alla letteratura internazionale, e non trova nemmeno riscontro nei dati disponibili sulla selvaggina – cinghiale, dove nel muscolo sono riportati valori mediani e massimi per il Pfoa (2.75–15.9 ng/g) simili a quelli del  Pfos (2.47–12.8 ng/g), mentre nel fegato il Pfoa (6.7-39 ng/g) risulta presente a concentrazioni circa 10 volte inferiori (Pfos 95–397 ng/g).

In tale contesto, viene a mancare il dato relativo alla selvaggina – cinghiale, peraltro segnalata nelle schede di rilevazione dei consumi alimentari degli allevatori come possibile fattore da associare ai livelli ematici di Pfoa/Pfas. La presenza di una importante popolazione di ungulati, la adozione di abbattimenti di pubblica utilità, la presenza sul territorio di centri per la macellazione della selvaggina non dovrebbero avere costituito degli ostacoli per considerare non fattibile tale campionamento ed analisi, anche alla luce delle evidenze della letteratura internazionale. Inoltre tale animale costituisce di fatto una ottima sentinella ambientale, su cui ad esempio orientare le attività sia ambientali che alimentari per rilevare potenziali sorgenti secondarie di contaminazione.

La valutazione e caratterizzazione del rischio: non solo acqua?

La Regione Veneto recentemente ha inteso adottare per le acque potabili limiti per Pfoa molto più restrittivi rispetto a quelli proposti dall’Istituto Superiore di sanità nel 2014 (500 ng/L). Tali nuovi livelli di performance sono in linea con quelli statunitensi che sono stati proposti sulla base di un valore guida per esposizione umana pari a 20 ng/kg/ giorno già ricordato in avanti.
Considerando il gruppo allevatori/agricoltori sembra più opportuno esaminare in chiave conservativa il consumo alimentare quasi esclusivo della derrata prodotta in loco (la macellazione familiare del maiale) e i consumi alimentari medi. A livello di consumo familiare appare limitativo considerare un livello medio di contaminazione e risulta abbastanza improbabile che un individuo sia contemporaneamente un forte consumatore di uova, fegato, carne, pesce.
Considerando quindi le contaminazioni più elevate riscontrate (fatta salva la robustezza statistica degli alti percentili), e i consumi medi del database Inran Scai riferiti alle sole persone adulte che effettivamente consumano la derrata, per individui di 63 kg si otterrebbero solo per il consumo di mais e prodotti a base di mais, fegato e carni suine (compresi prosciutti, salami e salsicce), uova, esposizioni alimentari di 55 ng/kg giorno di  Pfoa. Tale esposizione troverebbe una equivalenza in una contaminazione di acqua potabile pari a 1700 ng/L di Pfoa per un consumo di 2 L/persona/giorno (Us-Epa pone un consumo di 1,4 L), e risulta superiore ai livelli guida per esposizioni umane statunitensi di un fattore di circa 2, che laddove venisse inclusa anche l’acqua potabile, aumenterebbe fino a 3 per un livello di performance a 500 ng/L.

Considerazioni finali

I dati prodotti dallo studio presentato alla stampa forniscono spunti di approfondimento per la contaminazione ambientale dei suoli agricoli, e per l’apporto di Pfoa da parte di alimenti solidi, di origine animale. Tali elementi non sembrano siano stati adeguatamente considerati fino ad ora, dove l’attenzione è stata fondamentalmente rivolta al ruolo delle acque potabili, e all’adozione dei sistemi di depurazione adeguati.
A questo punto appare dirimente conoscere l’annunciata opinione Efsa sui Pfas, per meglio interpretare i risultati prodotti dallo studio Iss-Izs Venezie–Arpa Veneto sugli alimenti, risultati che si auspica siano resi disponibili in modalità aperta. Questo può essere un utile confronto per tutto il mondo agricolo produttivo che già si è preoccupato di eseguire analisi in autocontrollo per la presenza di Pfas presso laboratori privati, e che rivendica la genuinità delle proprie produzioni e la applicazione delle buone pratiche agricole, anche se non si può escludere che sia tra le categorie più esposte.
A cura redazione del Sivemp Veneto – 21 novembre 2017