Un
carteggio pesantissimo sulla condotta della Miteni sarebbe stato inviato
dall'assessorato alla Sanità agli inquirenti: l'indiscrezione arriva da
Venezia. Frattanto le mamme "No Pfas" intervengono sul caso GenX:
"Fuori i documenti. Chiederemo lumi ai magistrati"
Marco Millioni
Pfas, il super dossier regionale in procura il 18 luglio 2018
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Gli uffici dell'assessorato alla Sanità della Regione
Veneto avrebbero inviato alla Procura della Repubblica di Vicenza un
voluminoso dossier di centinaia di pagine fitto fitto di
puntualizzazioni e di annotazioni scientifiche anche in materia
sanitaria. L'ambito è quello della maxi indagine che le toghe beriche
stanno conducendo sull'affaire Miteni. Il quale peraltro ieri ha fatto
registrare un nuovo capitolo. Durante una assemblea pubblica organizzata
a Montagnana il Coordinamento delle mamme no Pfas è tornato a chiedere
lumi sulla vicenda di un'altra sostanza processata dalla fabbrica
trissinese, il GenX. In questo caso l'attenzione si è concentrata
sull'iter in forza del quale gli enti pubblici hanno autorizzato o
comunque sorvegliato l’iter autorizzativo per la lavorazione di questo
"temibile composto".
Il prologo
A Montagnana, una delle municipalità del Padovano maggiormente
colpite dalla contaminazione da Pfas, l'amministrazione comunale ha
organizzato un incontro pubblico per fare il punto della situazione. Tra
gli invitati c'era Nicola Dell'Acqua, direttore generale dell'agenzia
ambientale regionale del Veneto, l'Arpav. Durante un vivace botta e
risposta con la mamme del coordinamento "No Pfas" nel pieno della
querelle è finita la lista delle sostanze chimiche trattate all'interno
dello stabilimento di Trissino, il quale ancora una volta è rimasto
invischiato in una burrasca mediatica allorquando dalla stampa si è
appreso che l'impianto potrebbe rischiare una chiusura parziale o
totale in ragione della presenza in falda di una sostanza, l'Frd,
prodotta in Olanda da Chemours-Dupont col nome commerciale di GenX e
rilavorata negli stabilimenti dell'Ovest vicentino. Secondo la provincia
di Vicenza e secondo l'Arpav quel composto fuori dalla fabbrica, ovvero
in falda, non sarebbe mai dovuto finire. Ma c'è di più; tra le carte
"di cui nel 2016 la Miteni" avrebbe messo a parte gli enti pubblici
responsabili della vigilanza in materia di imprese ad alta pericolosità,
questo sostengono le mamme, il GenX non è stato menzionato. Il
riferimento è ad una relazione gergalmente conosciuta come Rir che ieri è
stata platealmente sbandierata davanti al pubblico presente alla Sala
Veneziana di Montagnana. "È lo stesso Dell'Acqua - rimarca
arrabbiatissima Michela Piccoli uno dei volti simbolo della protesta dei
comitati - che durante l'incontro di ieri a Montagnana mi ha risposto
che il GenX non è nell'elenco che abbiamo scovato tra le carte in
possesso degli enti preposti. Ora vogliamo vedere come si comporteranno
le autorità. Chiediamo tutte le carte", prosegue Piccoli (in foto
durante un momento della serata), la quale si domanda se la magistratura
"sia al corrente di questa situazione tanto che anche alle toghe
chiediamo chiarezza".
La novità
Frattanto c'è una novità che giunge da Venezia. Secondo una
indiscrezione che da alcuni giorni gira, fra le altre, a palazzo Balbi,
l'assessorato alla sanità avrebbe inviato un corposo carteggio alla
Procura della repubblica di Vicenza. Si tratta di una serie di documenti
di valenza scientifica che contengono riprove e valutazioni precise, in
primis sul piano sanitario, che fornirebbero un formidabile strumento
di riscontro ai pubblici ministeri titolari del fascicolo: ovvero la
dottoressa Barbara De Munari ed il dottor Hans Roderich Blattner.
La questione non è di poco conto perché in passato il procuratore
berico Antonino Cappelleri proprio in relazione all'affaire Miteni aveva
predicato prudenza, facendo intuire che le indagini per essere efficaci
avrebbero avuto bisogno di un supporto scientifico di tutto rispetto.
L'attribuzione delle responsabilità nel codice penale infatti segue un
percorso assai rigoroso ed è per questo motivo che la legge fornisce ai
magistrati strumenti di accertamento infinitamente più incisivi rispetto
a quelli a disposizione degli organi amministrativi, che per vero non
sono pochi.
Ora, se le indiscrezioni materializzatesi in Laguna fossero
confermate, le toghe vicentine non avrebbero più ostacoli per una
eventuale formalizzazione della chiusura delle indagini elaborata in
modo molto stringente. Ma potrebbero venir meno anche i dubbi per una
serie di altri provvedimenti come eventuali sequestri o arresti
cautelari, oppure acquisizioni di notizie di un certo tipo sui reali
proprietari della fabbrica. I quali attualmente sono schermati da un
dedalo azionario con base principale in Lussemburgo, Paese accusato da
anni di essere un paradiso fiscale: senza tralasciare per di più
eventuali responsabilità degli organi amministrativi che negli anni
hanno o avrebbero dovuto vigilare sulla condotta della stessa Miteni.
Ma che cosa sarebbe partito dagli uffici dell'assessorato, e più
precisamente dagli uffici della Direzione prevenzione, sicurezza
alimentare e veterinaria? E soprattutto quelle carte sono effettivamente
partite alla volta del capoluogo berico? Chi scrive ha più volte
cercato di interpellare la responsabile della direzione, ovvero la
dottoressa Francesca Russo. La quale però al momento non sarebbe
possibile rintracciare perché in ferie. Questo almeno è stato riferito
dalla sua segreteria. Un tentativo simile per avere lumi in tal senso è
andato a vuoto anche con lo staff del direttore di Arpav, il quale
peraltro è anche commissario straordinario per l'emergenza Pfas.
Il nodo delle acque piovane
E non è finita. Perché ieri il coordinamento dei genitori No Pfas ha
battagliato anche su un altro punto specifico. Quello della qualità
delle acque piovute sul piazzale della Miteni che potrebbero essere
state contaminate per poi finire nel vicino torrente Poscola. "Se si
legge la relazione di commento dei dati relativi alle emissioni di Pfoa e
Pfas nelle acque di scarico redatta nell'aprile 2017 da Miteni" sta
scritto a pagina 36 che che "nel corso dell'ultimo periodo le
precipitazioni non sono state tali da permettere il campionamento delle
acque meteoriche inviate al Poscola". Questo il j'accuse di Dario Muraro
il quale spiega come i papà e le mamme del coordinamento si sentano non
solo preoccupati per i propri figli bensì pure frustrati: "Ma è
possibile che quelle carte dobbiamo scoprirle e leggercele da noi?
Quelle asserzioni come sono state valutate da chi di dovere? Vogliamo
davvero credere che prima dell'aprile del 2017 la siccità abbia impedito
di rilevare la qualità di quell'acqua? Stiamo scherzando? Ci sentiamo
presi in giro".
La replica della società
Frattanto però sono i vertici della Miteni spa a respingere ogni
accusa al mittente. In una nota pubblicata ieri, proprio rispetto alla
vicenda dei derivati del fluoro si legge: "Saranno controllate quattro
aziende su seicento che usano i Pfas. Il piano disposto dalla Regione
Veneto prevede che sulle centinaia di aziende da indagare che usano
queste sostanze, come era stato disposto un anno e mezzo fa anche dal
Tribunale superiore della acque pubbliche, vengano svolti appena quattro
controlli su due concerie, una galvanica ed una serigrafia". Si tratta
di parole precise tra le cui righe si legge, almeno questo sembra essere
«il sentiment» dell'azienda, la stizza di chi in qualche maniera si
vede additato come capro espiatorio dal momento che i Pfas, così
sostiene ancora l'azienda, vengono utilizzati non solo da Miteni ma da
tantissime altre imprese.
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