domenica 5 agosto 2018

Pfas, i politici veneti ci risparmino le guerre sulla nostra pelle


Pfas, i politici veneti ci risparmino le guerre sulla nostra pelle

Dossier della Regione Veneto in discussione a Palazzo Ferro Fini: prima dei voti dei cittadini c’è di mezzo la loro salute



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Il 31 luglio nel pomeriggio o più probabilmente il 1° agosto in mattinata il consiglio regionale veneto discuterà in aula il dossier Pfas, frutto del lavoro della Commissione d’inchiesta regionale. Si tratta di 477 pagine che ricostruiscono la storia dell’inquinamento più esteso d’Italia, cominciato negli anni Settanta e che continua tuttora. Un inquinamento che coinvolge quasi 300 mila persone e i territori vastissimi di quattro province: Vicenza, Verona, Padova e Rovigo. Si è scoperto, appena un mese fa, che anche le vongole del Delta del Po contengono quantità di pfoa dieci volte superiori a quelle certificate dal Cnr cinque anni fa.
Il passaggio in aula è un momento cruciale perché rappresenta il primo momento istituzionale di sintesi delle attività passate e soprattutto la pietra angolare di quelle future di contrasto a questo mega inquinamento. Finora la Regione Veneto ha adottato una serie di provvedimenti singoli, che vanno dal controllo del sito inquinante, la Miteni di Trissino, fino al monitoraggio sanitario della popolazione, operazione complessa e in corso; dal divieto di mangiare il pesce pescato nelle acque del bacino Fratta-Gorzone al confronto al vetriolo con il Ministero dell’Ambiente sulle competenze di Roma e Venezia. Tutto insieme, dal decreto di cinque righe ai ponderosi pareri legali, dalle relazioni di vari organi regionali agli studi commissionati ad enti statali, come per esempio l‘istituto superiore di Sanità. Ora tutte queste attività diventano, prima ancora che base di un programma, politica pura. Cosa naturale, ma in questo caso pericolosissima.
Perché? Perché stavolta non si parla di infrastrutture, finanziamenti, confini sulla Marmolada o risibili questioncelle da campanile, stavolta si parla della salute della popolazione e delle condizioni di un territorio, entrambe questioni che purtroppo non si risolveranno nel giro di qualche mese e neppure in una legislatura. Sono problemi talmente sovra-politici che occorre affrontarli con una sovra-politica. La pelle delle persone non ha colore politico, è innanzitutto la pelle. Le campagne avvelenate non sono feudi di questo o quel partito, sono il bene comune di una popolazione. I tempi non sono quelli delle elezioni, delle legislature, del cursus honorum dei politici: parleremo di Pfas almeno per un’altra generazione, forse di più. Saranno i figli o i nipoti degli attuali consiglieri e assessori e presidenti a toccare con mano gli effetti – a tutt’oggi sconosciuti nel loro esito finale ma fortunatamente scoperti e indagati – di questo disastro ambientale senza pari.
Il confronto politico, naturale e necessario, non può ignorare che il contesto è diverso da tutti i precedenti conosciuti. Il demone in agguato è la conquista dei voti e il suo strumento è la demagogia, attività mai sopita ma in questi ultimi tempi assurta a fasti impensabili. Ne facciano a meno, i signori della Regione, almeno per questa volta. Ci sono già stati segnali, di questo sfruttamento a fini politici di una vicenda che chiede innanzitutto di essere affrontata e non strumentalizzata. Qui si tratta di acchiappare i Pfas, non i voti.
Eppure i politici ci stanno provando, da una parte e dall’altra, secondo la più classica contrapposizione tra maggioranza e opposizione. Solito schema: «siamo stati bravi» proclama la maggioranza, «ritardi e inefficienze», controbatte l’opposizione, entrambi con il pallottoliere del favore dell’elettorato sotto il banco, sulle ginocchia. Non con il disastro Pfas, per favore.
La Regione Veneto ha nominato prima una Commissione tecnica poi una commissione d’inchiesta. La Commissione tecnica è poi diventata «Ambiente e Salute», coordinata dal direttore generale dell’Arpav Nicola Dell’Acqua, nominato poi dal Ministero dell’Ambiente commissario straordinario per il problema Pfas. I materiali forniti da questa commissione sono stati prodotti fuori dalla politica. La commissione d’inchiesta regionale è costituita di nove membri, in rappresentanza di altrettanti partiti o gruppi consiliari, ed è presieduta dal cinquestelle Manuel Brusco. Ha messo insieme il dossier conclusivo diviso in due parti: la collazione dei documenti relativi all’annosa vicenda (storia, analisi, normativa, monitoraggi sanitari) e audizioni durate due mesi, dai tecnici alla stessa Miteni. Del dossier fa parte anche un cd-rom con una serie di documenti e una sintesi di 30 pagine.
La relazione finale è stata approvata a maggioranza dalla stessa commissione d’inchiesta, e qui si ritorna al punto: perché a maggioranza se tutti, trasversalmente, vi hanno utilmente partecipato? Hanno votato contro – per esempio – il consigliere Andrea Zannoni (Pd) e la consigliera Cristina Guarda (Alessandra Moretti Presidente, cioè Pd), proprio loro che durante le audizioni, riportate integralmente nella relazione, sono stati i più attivi, i più ficcanti, i più indagatori. Perché votare contro un lavoro di cui sono stati fondamentali protagonisti? Significa che già lì è subentrata la logica politica, il dualismo maggioranza/minoranza che antepone gli interessi di parte a quelli generali.
È stata contestata «l’incompletezza» della relazione soprattutto in virtù del fatto che non conteneva una riga sull’inquinamento sopravvenuto da GenX. Del quale peraltro s’è saputo a lavori della commissione ultimati. E in ogni caso sarebbe bastato non chiedere ma fare un supplemento d’indagine al volo. Fatta salva la libertà di critica, ciò che va salvaguardato è l’interesse generale. Perché rischiare di depotenziare un buon lavoro di base, ancoraggio delle future decisioni, un lavoro giudicato più approfondito del documento simile prodotto dalla Commissione bicamerale sulle eco-mafie, ragionando in termini di puro tornaconto politico di parte? Vale per tutti, dalla Lega al Pd e perfino per l’originale posizione del consigliere Berlato.
Speriamo di non assistere in aula a guerre calcolate con la logica dell’acchiappavoti. Non si tratta di auspicare inciuci, trasversalismi, pastette o rapporti contronatura. Si tratta di essere utilmente coesi per decidere non il valore di uno strumento conoscitivo, ma le azioni da intraprendere per gestire un’emergenza che sarà sfuggente per anni e anni. Su queste azioni ci potrà essere battaglia politica, ricordandosi che nel sangue di 300 mila veneti assieme al resto scorre anche un punto di domanda. Che non è «per chi voterò?», ma starò bene?».

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