sabato 20 agosto 2016

Recenti studi dimostrano altri effetti danni per la salute causati dal pfoa.

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Studies show more health harms from PFOA

Aug 12, 2016
The New York State Senate is expected to soon announce a date for a hearing on how the Cuomo administration handled drinking water contamination in Hoosick Falls. It comes as new studies out this week show more harmful effects from exposure to the chemical PFOA, on mothers and their children.
The four studies — some done by Harvard researchers and published in leading journals — look at a class of human-made substances known as highly fluorinated chemicals. They include perfluorooctanoic acid, or PFOA, used in the manufacture of nonstick coatings on pots and pans as well as fabric protectors. PFOA was found in water in Hoosick Falls and other towns in eastern New York.
“These chemicals have some of the strongest bonds in the periodic table, and they basically never break down, so they stay around for millions of years,” said Arlene Blum with the University of California, Berkeley-based Green Science Policy Institute.
Blum said several types of cancer, high cholesterol and obesity are all associated with exposure to the substances.
Two papers by Harvard researcher Philippe Grandjean look at the effects of PFOA on the immune systems of children. He found that very young children exposed to the chemical have a reduced immune response to vaccinations. He also found that as the children grew older, they had other problems as well, including more colds and stomach upsets.
The other study found that women with high levels of PFOA in their blood could not breastfeed as long as women without high levels, indicating some kind of hormonal disturbance.
The problems experienced in Hoosick Falls — where many residents have been found to have high levels of PFOA in their blood, likely from nearby manufacturing plants — appear to be just the tip of the iceberg.
Similar highly fluorinated chemicals are contained in flame retardants at airports and on military bases. They are used in trainings, and another study found the runoff can end up in the water supply.
Blum said one immediate way to curb the chemicals is to use some other substance for trainings and save the actual chemicals for when there’s a real need.
“If there’s a fire, perhaps we really need these chemicals,” she said. “They should not be used for practices.”
A fourth study looked at EPA tests of two-thirds of the drinking water systems in the United States and found the drinking water of 6 million people has levels of highly fluorinated chemicals that are above the current EPA limits.
Blum said if the EPA lowers its limits of acceptable levels of PFOA and related chemicals, as many scientists have urged, then as many as 16.5 million people could be drinking potentially contaminated water.
She said there is a solution, though: Find other water sources that have not yet been contaminated by chemicals.

PFC, ecco le alternative ai Perfluorurati tossici


PFC, ecco le alternative ai Perfluorurati tossici

Per chi ama la natura e la vita all’aria aperta è indispensabile indossare giacche a vento impermeabili e accessori adeguati ed è per questo che moltissimi capi d’abbigliamento sportivo vengono trattati chimicamente con i PFC: per combattere l’assorbimento dell’acqua e per abbattere il freddo e il vento.
Questo ed altro emerge dal rapporto presentato da Greenpeace, Greenpeace Detox Outdoor dello scorso gennaio 2016, secondo il quale molti capi di abbigliamento Outdoor (ma anche scarpe, tende, corde ecc) contengono sostanze nocive come i perfluorurati e i perfluorocarburi (PFCs).
E allora il problema è: esistono delle alternative al PFC? La risposta è SI

PFC: ecco le alternative ai Perfluorurati tossici


Il rapporto Greenpeace Detox Outdoor pone subito una domanda: qual è l’alternativa? Come accennato nello stesso rapporto esistono già delle possibilità di sostituire i PFC nei prodotti a catena lunga e a catena corta, quindi è già possibile equipaggiarsi senza creare danni irreparabili alla natura, alla salute propria e a quella degli altri.
Qui di seguito riportiamo alcune soluzioni che abbiamo testato personalmente e che, per alcune qualità peculiari, reputiamo addirittura migliori dei prodotti proposti dai più famosi brands attualmente sul mercato.
Il G-1000 della svedese FJALLRAVEN è un composito formato dal 65% di poliestere e dal 35% di cotone, impregnato da una sostanza a base di cera d’api che crea un’ottima repellenza all’acqua e un’efficiente protezione contro il vento, preservando in maniera “dedicata” ventilazione e isolamento termico.
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Ma perché in maniera “dedicata”? E’ proprio questo aspetto che rende il G-1000 davvero interessante. Sappiamo che qualunque repellenza all’acqua e al vento comporta un deficit di ventilazione e traspirazione, in effetti questo rapporto è inversamente proporzionale: più siamo repellenti e meno traspiriamo. Nel G-1000 questo rapporto è personalizzabile grazie al Greenland Wax . Il greenland Wax è un composto di cera d’api che si presenta come una normale saponetta per le mani.
Sappiamo che ogni prodotto tecnico per l’outdoor, dopo ripetuti lavaggi, perde le proprie qualità, come anche il G-1000 a causa della dispersione della cera d’api. Per ristabilirne l’efficienza è sufficiente applicare il prodotto naturale Greenland Wax sul tessuto, scaldando con un ferro da stiro o con un fon per favorire l’assorbimento della sostanza nelle maglie di cotone e poliestere. La peculiarità interessante è che si possono passare uno o più strati di impregnante, personalizzando non solo il rapporto tra traspirazione e repellenza all’acqua e antivento, ma anche diversificando questo rapporto all’interno del capo dopo aver deciso quali parti rendere più performanti.
Il Keb Eco Shell è una valida alternativa al Gore-Tex e funziona con lo stesso principio, garantendo 30.000 mm di Water Coloumn e 26.000 gr/m2/24h di traspirazione. Un vero gioiello. Sempre di FJALLRAVEN
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PARAMO è un’ azienda anglosassone che vanta l’intera collezione di abbigliamento outdoor PFC-free. Questo importante risultato è frutto della collaborazione con NIKWAX, un’altra grande società che ha sviluppato una tecnologia di prodotti adatti a garantire repellenza all’acqua e al vento di altissima qualità. La loro linea “Directional” gestisce appunto la “direzione” del sudore dallo strato della pelle all’esterno del tessuto, per tenere il corpo sempre asciutto.
Tutti i prodotti PARAMO vengono realizzati con materiali riciclati e ogni capo acquistato può essere restituito dopo il suo utilizzo ottenendo così sconti sui futuri acquisti fino a 50 sterline.
La gamma dei prodotti PARAMO è ampia e la tecnologia NIKWAX associata ad ognuno di loro fa si che si possa far fronte ad ogni esigenza ed a qualunque situazione metereologica.
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NIKWAX oltre a collaborare alla produzione di abbigliamento outdoor di PARAMO, produce autonomamente articoli PFC-free adatti alla rigenerazione waterproof and windproof per tutti i capi di abbigliamento tecnico outdoor. Si possono trovare prodotti efficaci sia tramite lavaggio in lavatrice che tramite spray da applicare direttamente sugli indumenti. La combinazione del TECH WASH per il lavaggio e del TX DIRECT per la rigenerazione dell’antipioggia e antivento è davvero insuperabile.
  • TEXAPORE

Se si cerca una valida alternativa a prodotti di brand leader iperdistribuiti, come ad esempio THE NORTH FACE, il consiglio ricade su JACK WOLFSKIN: azienda tedesca che ha già il 77% dell’ intera produzione PFC-free grazie alla tecnologia TEXAPORE. Questa tecnologia possiede un ottimo grado di protezione dall’acqua e dal vento, riuscendo comunque a garantire un’ottima traspirabilità.
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Per riconoscere quali prodotti del catalogo sono PFC-free basta cercarli sul sito o selezionarli facilmente di persona nel negozio perchè hanno tutti un cartellino che li identifica.
Vi abbiamo elencato le alternative ai prodotti trattati con PFC da noi testate.
Altre, altrettanto valide e PFC-free, si possono trovare da:

martedì 16 agosto 2016

Sull'Arena di Verona 10 agosto 2016 : Un medico accusa: «A Roma dal 2000 sapevano tutto». Inquietante rivelazione di un professionista: 16 anni fa era arrivata una mail che citava due ditte italiane produttrici

Allarme «Pfas». Un medico accusa: «A Roma dal 2000 sapevano tutto». Inquietante rivelazione di un professionista: 16 anni fa era arrivata una mail che citava due ditte italiane produttrici
Luca Fiorin. A Roma, stando a quanto afferma un medico ecologista, si sapeva della presenza nelle acque della nostra regione, delle sostanze perfluoro-alchiliche già nel 2000. Ovvero, ben 13 anni prima che la contaminazione di cui è vittima un'ampia area posta fra le provincie di Verona, Vicenza e Padova diventasse, in seguito a controlli effettuati entro il 2013 su indicazione dell'Unione Europea, un caso di interesse pubblico. Un caso così rilevante che dal prossimo novembre darà vita allo screening sulla salute della popolazione più esteso al mondo, per lo meno fra quelli sinora attuati per casi di questo tipo. Un controllo vastissimo, che riguarderà anche 72mila cittadini in provincia di Verona.
LA DENUNCIA. Secondo Vincenzo Cordiano, medico dell'Ulss che opera a Valdagno, nel vicentino, che è presidente dell'associazione dei medici per l'ambiente Isde di Vicenza, «l'affermazione, ripetuta da diversi funzionari regionali e dalle Ulss, secondo la quale nessuno in Veneto era a conoscenza della presenza dei Pfas prima dell'estate del 2013, è inverosimile».
Cordiano, infatti, spiega che tali dichiarazioni «sono smentite da un documento dell'Epa, grosso modo l'equivalente statunitense del ministero per l'Ambiente italiano, che è stato inviato ancora il 16 maggio del 2000 dal dottor Charles Auer, allora direttore di un dipartimento dell'ente americano, a un gruppo di studiosi e ricercatori di varie nazionalità, di cui almeno due erano in carica all'Istituto superiore di Sanità (Iss)».
L'istituto svolge la funzione di consulente del Governo e della Regione su questo argomento. «Con tale messaggio», continua il medico, «Auer informava della decisione della 3M, l'unica azienda produttrice negli Usa di uno dei componenti appartenenti alla famiglia dei Pfas, quello considerato maggiormente pericolosi, cioè il Pfos, di sospendere la produzione sia di esso che di un altro composto diffuso in Veneto, il Pfoa, ed affermava chiaramente che in altri Paesi, Italia compresa, esistevano produttori di Pfas».
I DUBBI. Il documento è tuttora disponibile su un sito internazionale dedicato alle industrie chimiche. «Personalmente», afferma ancora Cordiano, «non conosco il ruolo che svolgevano nel 2000 i destinatari dell'email dell'Istituto superiore di sanità, ne se sono state intraprese iniziative per indurre le uniche due aziende italiane produttrici di Pfas (la Solvay di Spinetta Marengo, Alessandria, e la Miteni di Trissino, Vicenza) a sospendere la produzione di sostanze che già allora Auer definiva come altamente persistenti nell'ambiente e con una forte tendenza ad accumularsi nel sangue e nei tessuti animali, tanto da poter esporre ad un rischio per la salute umana».
«Quello che invece so», aggiunge il medico, «è che l'azienda Miteni ha continuato a produrre Pfos e Pfoa almeno fino al 2011, anche se, secondo le dichiarazioni rilasciate dall'amministratore delegato della Miteni, e da quanto è riportato nel sito dell'azienda, risulta che la ditta ha presentato già nel 2011 al ministero dell'Ambiente i dati sulla produzione di Pfas e che su questo si è confrontata con l'Istituo superiore della sanità, in occasione di congressi internazionali, arrivando nel 2008 a condividere una valutazione dei rischi».
LE DOMANDE. «Sarebbe interessante sapere se il mancato intervento dei ministeri, per oltre 10 anni, sia stato influenzato dalla collaborazione costruttiva della Miteni o se l'azienda di Trissino abbia sponsorizzato convegni, eventi o iniziative alle quali hanno partecipato ricercatori o altri funzionari dell'Istituto superiore di Sanità o di altre istituzioni o ministeri italiani», afferma Cordiano. «In altre parole», si interroga il medico, «in cosa si è concretizzato il contributo all'Iss della Miteni, ed essa ha mai informato i dirigenti delle Ulss e della Regione Veneto della possibile pericolosità dei suoi prodotti ed ha mai cercato di condividere il rischio con la popolazione che ne era esposta?»
ESAMI E POLEMICHE. In questi giorni, intanto, si è saputo che si è conclusa la seconda fase del biomonitoraggio che era stato avviato su un campione di cittadini del Basso Vicentino per accertare la presenza di Pfas nel loro sangue. Un controllo i cui primi risultati, che hanno attestato che tale situazione è concretamente esistente, hanno fatto sì che la Regione Veneto abbia poi deciso di controllare lo stato di salute di tutta la popolazione potenzialmente a rischio. In questo secondo stadio della verifica sono stati inseriti anche i dati di analisi effettuati m provincia di Verona. Intanto, mentre sul fronte veronese da qualche tempo tutto tace, il sindaco di Vicenza, Achille Variati, critica la contrapposizione che continua a persistere fra il ministero dell'Ambiente e la Regione in merito all'inquinamento da sostanze perfluoro-alchiliche e propone di unire le forze per garantire un approvvigionamento sicuro degli acquedotti.
L’Arena – 10 agosto 2016 
 

venerdì 5 agosto 2016

Interessante questo blog : LAVORATORI AVVELENATI: ma l'azienda nega la responsabilità

mercoledì 11 maggio 2016

LAVORATORI AVVELENATI: ma l'azienda nega la responsabilità


Pfas: nel sangue dei lavoratori quantità migliaia di volte superiori alla norma

Mentre monta l'allarme per l'inquinamento dell'acqua in Veneto, i dati raccolti dal medico del lavoro dell'azienda accusata - la Miteni di Trìssino - dimostrano concentrazioni fino a 91.900 nanogrammi della sostanza considerata cancerogena. Contro i 4 nanogrammi di chi non è esposto. "Ma nessuna evidenza di patologie".L'azienda: "Non siamo noi i responsabili" Il livello più alto in assoluto di Pfas nel sangue lo raggiunge un lavoratore della Miteni: 91.900 nanogrammi per millilitro misurati nel 2002, a fronte di una media nella popolazione generale di 4. Non ci sono paragoni. Il livello più alto in assoluto di Pfas nel sangue lo raggiunge un lavoratore della Miteni: 91.900 nanogrammi per millilitro misurati nel 2002, a fronte di una media nella popolazione generale di 4. Non ci sono paragoni. 

Nemmeno con i lavoratori statunitensi della DuPont, in Ohio, esposti per anni ai composti perfluoroalchilici, utilizzati per impermeabilizzare materiali come il goretex e il teflon. Il record mondiale di Pfas nel sangue, “possibili cancerogeni” che hanno contaminato in Veneto almeno 60 mila persone, lo raggiungono i lavoratori della Miteni che per trent’anni hanno lavorato quelle sostanze nello stabilimento di Trìssino, in provincia di Vicenza. 



Il dato emerge in uno studio firmato nel 2009 dal professor Giovanni Costa e dai ricercatori Samantha Sartori e Dario Consonni dal titolo “Thirty years of medical surveillance in perfluooctanoic acid production workers”, pubblicato sulla rivista scientifica Joem.

In particolare, Costa (responsabile sanitario dell’azienda fin dai tempi della Rimar) ha conservato per trent’anni, dal 1978 al 2007, i dati derivanti dalla sorveglianza sanitaria dei lavoratori che producevano Pfoa, l’acido perfluoroottanoico della famiglia Pfas, nello stabilimento di Trìssino e hanno assorbito le sostanze “per via orale, attraverso la pelle o l’inalazione”. 


I risultati mostrano una contaminazione 
senza precedenti

...con livelli di Pfas nel sangue che vanno da 200 a 47.040 ng/ml. Numeri ben superiori a quelli relativi agli operai della DuPont, negli Usa, uno dei più gravi inquinamenti da Pfas noti a livello internazionale. Secondo uno studio del 2007, le concentrazioni di sostanze perfluoroalchiliche nel sangue dei lavoratori americani non superavano i 9.550 ng/ml.

La ricerca di Costa (medico del lavoro della Miteni) non ha riscontrato “evidenze cliniche di problemi o malattie specifiche” negli operai dello stabilimento vicentino, anche se l’articolo parla di “un’associazione significativa del colesterolo totale e dell’acido urico con i livelli di Pfoa nel siero” e di una “probabile interferenza con il metabolismo intermedio”. 

L’azienda Miteni, dal 2009 di proprietà della holding Internatonal Chemical Investors Group (Icig), esclude ogni responsabilità per l’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche in Veneto: “La presenza di Pfas non può essere dovuta alla falda dello stabilimento Miteni – ha fatto sapere la fabbrica chimica – e al sistema di scarichi consortili sono collegate centinaia di aziende del territorio”. L’azienda informa inoltre di “non produrre più Pfos e Pfoa dal 2011”.

Ma l’Arpa Veneto, in una comunicazione del luglio 2013 inviata anche all’autorità giudiziaria, evidenziava “la rilevante presenza di sostanze perfluoro-alchiliche allo scarico industriale della ditta Miteni Spa”, chiedendo tra l’altro di “migliorare il sistema di filtrazione delle acque reflue produttive” della Miteni, e di “eliminare nel breve periodo dal ciclo produttivo le sostanze Pfoa e Pfos residuo in quanto, da letteratura, presentano i maggiori impatti”. 

Quel che è certo, stando a quanto emerso dai dati raccolti dallo stesso medico della Miteni, è che negli anni in cui l’azienda è passata nelle mani di grandi gruppi come Rimar (Marzotto), Enichem-Mitsubishi (’88), e Mitsubishi Corporation (’96), gli operai dello stabilimento vicentino hanno avuto le più alte concentrazioni registrate di Pfas nel sangue.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05/10/pfas-nel-sangue-dei-lavoratori-quantita-migliaia-di-volte-superiori-alla-norma/2711440/

Veneto, Pfas: revisione autorizzazione scarico collettore Arica

Veneto, Pfas: revisione autorizzazione scarico collettore Arica

(AGIELLE) - Venezia - L'Ufficio Stampa della Giunta regionale, in materia di autorizzazione allo scarico del collettore "Arica", precisa quanto segue: La Regione aveva recentemente rinnovato l'autorizzazione allo scarico del collettore consortile ARICA, che raccoglie gli scarichi depurati dei cinque impianti di depurazione pubblici di Arzignano, Montebello Vicentino, Montecchio Maggiore, Trissino e Lonigo, imponendo un significativo percorso di riduzione dei carichi inquinanti, con particolare attenzione ai composti perfluoroalchilici, più noti come PFAS, fino a condurli ai limiti delle acque potabili. Il Ministero dell'Ambiente ha però voluto imporre alla Regione la immediata applicazione dei valori limite proposti dall'Istituto Superiore di Sanità (validi per acque potabili) per gli scarichi contenenti residui di PFAS. Anche la Regione aveva previsto di raggiungere gli stessi limiti, nel tempo più breve possibile consentito dalle migliori tecnologie disponibili (MTD), con un percorso che tenesse conto della necessità fisica di adeguamento degli impianti di depurazione e produttivi, considerata la palese impossibilità pratica di raggiungere lo stesso risultato da un giorno all'altro. Il tutto a seguito di una approfondita analisi tecnica e normativa. Con il proprio intervento, il Ministero, esercitando la propria competenza e seguendo un percorso più restrittivo rispetto alla normativa vigente ha individuato la priorità da perseguire, i tempi di applicazione ed infine il percorso amministrativo, messo a carico alla Regione. La Regione non può che adeguarsi alla perentoria imposizione dello Stato, procedendo a modificare in tal senso l'autorizzazione. (newsagielle.it)

Miteni, Laura Puppato: lavoratori in Commissione Ecomafie fanno cadere ultimi alibi sui Pfas

Quotidiano | Categorie: Politica, Ambiente

Miteni, Laura Puppato: lavoratori in Commissione Ecomafie fanno cadere ultimi alibi sui Pfas

Di Redazione VicenzaPiù Mercoledi 3 Agosto alle 21:22 | 0 commenti
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La senatrice Laura Puppato, capogruppo del Pd nella Commissione Ecomafie, interviene in seguito all'audizione in commissione Ecomafie, delle Rsu Miteni che hanno portato molte utili informazioni all'approfondimento sul tema Pfas
Dopo l’audizione di ieri in Commissione Ecomafie dei rappresentanti dei lavoratori della Miteni sulla produzione delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), sono caduti gli ultimi dubbi quantomeno sulla conoscenza e conseguente responsabilità per l’attuale proprietà, la ICIG con sede amministrativa in Lussemburgo e sede operativa a Francoforte, e per la Regione Veneto


Richiederò che gli atti di questa audizione vengano inviati alla Procura competente, dopo che sono stati acquisiti anche i report delle analisi eseguite sui dipendenti dal 2000.
Dall’audizione è emerso con chiarezza che la pericolosità sanitaria derivante dalla lavorazione dei pfas nello stabilimento Miteni era nota già nei primi anni Duemila, ai tempi delle precedenti proprietà. Lo Spisal (Servizio Prevenzione Igiene e Sicurezza Ambienti di Lavoro) dell’ Usl locale effettuava da allora gli specifici esami del sangue sui dipendenti, inviando i campioni in laboratori specializzati negli Usa e in Germania e rilevando valori di Pfas molto al di sopra di quelli registrati tra i lavoratori dell’americana Dupont, che avevano sollevato scalpore. L’amministratore delegato dal 2009  al 2015, l’ingegner Guarracino, già noto per essere stato direttore sanitario della Montedison di Bussi e dello stabilimento Solvay di Spinetta Marengo, nel 2013 in un’audizione al Comune di Trissino dichiarò che ‘quando l’Icig acquisì da Mitsubishi  la Miteni, questa era un’azienda tencicamente fallita’. E questo significa che aveva brevetti scaduti, impianti e prodotti obsoleti e problemi di inquinamento già allora insuperabili. Si conoscevano già gli effetti dei Pfas sulle acque e sulla salute, così come era noto  che lo stabilimento sorgesse su ricarica di falda e fosse a rischio di incidente rilevante, tanto che il tracciato della Superstrada Pedemontana veneta è stato per questo deviato. I lavoratori hanno espresso grande preoccupazione sia per non avere piena e condivisa conoscenza degli effetti dei PFAS sul sistema cardiovascolare e su quello endocrino sia per le prospettive del loro lavoro. Sebbene anche su questo si sia fatta luce: sui 120 dipendenti dell’azienda solo 13 sono tecnici dedicati alle produzioni PFAS, cosa che permetterebbe di dismettere la sola produzione incriminata senza compromettere il lavoro che offre l’intera azienda. A loro la piena vicinanza e solidarietà della nostra commissione

Leggi tutti gli articoli su: Laura Puppato, pfas, Miteni

Audizioni di delegati RSU della Miteni SpA. (Svolgimento e conclusione). - Camera.it

Il 2 Agosto  in commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti audizione di una delegazione dei lavoratori della Miteni:

Pfas, duello Regione Ministero sui limiti per Arica

Pfas, duello Regione Ministero sui limiti per Arica


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Niente rinvii, il consorzio Arica dovrà adeguare subito la presenza di Pfas nei suoi scarichi ai valori limite, quelli validi per le acque potabili. Lo ha deciso il Ministero dell’Ambiente, di fatto cancellando il rinnovo della autorizzazione regionale al collettore consortile Arica, che raccoglie gli scarichi depurati dei cinque impianti di depurazione pubblici di Arzignano, Montebello Vicentino, Montecchio Maggiore, Trissino e Lonigo. E’ la stessa giunta regionale a renderlo noto, precisando che l’autorizzazione era stata rinnovata “imponendo un significativo percorso di riduzione dei carichi inquinanti, con particolare attenzione ai composti perfluoroalchilici, più noti come Pfas, fino a condurli ai limiti delle acque potabili”.
Il collettore Arica, negli intendimenti della Regione Veneto, dunque, avrebbe dovuto comunque raggiungere i livelli stabiliti per l’acqua potabile proposti dall’Istituto superiore di sanità, pur lavorando con acque reflue. La Regione tuttavia dava quattro anni di tempo ad Arica per farlo, mentre il Ministero impone l’adeguamento immediato.
“Anche la Regione – sottolinea una nota di Palazzo Balbi – aveva previsto di raggiungere gli stessi limiti, nel tempo più breve possibile consentito dalle migliori tecnologie disponibili, con un percorso che tenesse conto della necessità fisica di adeguamento degli impianti di depurazione e produttivi, considerata la palese impossibilità pratica di raggiungere lo stesso risultato da un giorno all’altro. Il tutto a seguito di una approfondita analisi tecnica e normativa”.
“Con il proprio intervento – continua la giunta regionale -, il Ministero, esercitando la propria competenza e seguendo un percorso più restrittivo rispetto alla normativa vigente, ha individuato la priorità da perseguire, i tempi di applicazione ed infine il percorso amministrativo, messo a carico alla Regione. La Regione non può che adeguarsi alla perentoria imposizione dello Stato, procedendo a modificare in tal senso l’autorizzazione”.

martedì 2 agosto 2016

Miteni e ricorso al Tar sui limiti imposto dal Ministero


Altro che risposte ai cittadini: Miteni vuole ricorrere al Tar sui nuovi limiti imposti per i Pfas.

Nessun “ravvedimento” da parte di Miteni, ma la volontà addirittura di ricorrere al Tar contro i nuovi limiti imposti sui Pfas (le sostanze perfluoroalchiliche) dal Ministero dell’Ambiente alla Regione. La prospettiva è stata avanzata dall’amministratore delegato dell’azienda di Trissino (Vicenza), Antonio Nardone, durante la visita dei cittadini allo stabilimento chimico per allontanare i sospetti dall’essere la principale responsabile della contaminazione del suolo e delle acque.
Eppure il 20 maggio 2016 Studio 3A aveva chiesto dei chiarimenti proprio a Miteni perché fugasse tutti i dubbi e i patemi d’animo dei propri assistititi sui possibili effetti dell’inquinamento che ha toccato sopratutto le province di Verona, Vicenza e Padova. Domande legittime perché la popolazione di questi territori chiede giustamente delle risposte, quali effetti potrebbero avere i Pfas sulla salute a breve e lungo periodo, di accertare eventuali responsabilità per trovare assieme una soluzione. Si domanda troppo? Invece siamo arrivati a fine luglio ma non è giunta alcuna risposta dalla azienda alla richiesta d’incontro di Studio 3A.
Nardone, di contro, ha parlato di regole non uguali per tutti; in pratica, secondo il decreto uscito dal ministero, al Veneto sarebbero state imposte delle regole diverse rispetto agli altri e, se fossero applicate, la stessa Miteni sarebbe costretta a sospendere la produzione e a chiudere.
Invece di adeguarsi, o fare il possibile per farlo, si contrattacca, con la solita “minaccia” dei posti di lavoro. Anziché pensare alla salute come bene primario, tenendo presente innanzitutto il principio di precauzione, la priorità va data al profitto.
Studio 3A non vuole colpevolizzare nessuno ma prende atto delle inchieste giudiziarie e dei numerosi provvedimenti presi dai Comuni interessati dalla contaminazione da Pfas, emanati per contenere i rischi per i cittadini. E accoglie con estremo rammarico questa linea dura adottata dalla multinazionale.

Pfas. Presentati i dati su tumori e patologie. Il Minambiente contesta alla Regione l'autorizzazione allo scarico dell'Arica



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Pfas. Presentati i dati su tumori e patologie. Il Minambiente contesta alla Regione l'autorizzazione allo scarico dell'Arica
pfas2222Novità contrastanti sul versante dei Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche che hanno contaminato le acque e il sottosuolo di 85 comuni del Vicentino, nel Veronese e (in parte minore) del Padovano. Oggi, a Padova, le autorità sanitarie del Veneto, dal responsabile scientifico del Registro Tumori Massimo Rugge al Responsabile tecnico del Ser Mario Saugo, hanno presentato la casistica e i dati sulle neoplasie diagnosticate nella popolazione residente nell'Ulss 5 Ovest Vicentino e nei comuni della parte meridionale dell'Ulss 6 di Vicenza, con un focus sui residenti esposti a inquinamento da Pfas. Lo studio esclude variazioni significative nell'andamento delle patologie tumorali ma evidenzia un marcato e preoccupante aumento dei casi di ipertensione ed ipertiroidismo nonché - è l'elemento più preoccupante - una crescita della mortalità legata alle malattie cardiovascolari. Il rapporto sarà trasmesso all'istituto superiore di Sanità incaricato dalla Regione del monitoraggio pluriennale delle condizioni di salute dei 180 mila cittadini coinvolti. I dati
SANITÀ: PRESENTATI DATI REGISTRO TUMORI VENETO E FOCUS SU PFAS
Comunicato Regione Veneto. Sul piano oncologico ed epidemiologico, l’inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche (PFAS) emerso nel 2013 in una vasta area del Veneto, ma in atto presumibilmente da almeno 20 anni, non ha portato al momento a rilevare un peggioramento del trend di salute dei cittadini nei territori maggiormente esposti. I dati del Servizio Epidemiologico Regionale evidenziano peraltro un aumento modesto, ma significativo, di patologie cardiovascolari, ipercolesterolemia e ipotiroidismo. Questi dati, collegati principalmente agli stili di vita, non verranno sottovalutati ma approfonditi in modo analitico e rivalutati con l'Istituto Superiore di Sanità.
Il dato è emerso oggi a Padova, nel corso di un incontro tecnico con la stampa degli esperti del Registro Tumori del Veneto, del Servizio Epidemiologico Regionale e della Direzione Prevenzione della Regione, che erano rappresentati rispettivamente dal Responsabile Scientifico Massimo Rugge (RTV), dal Responsabile Tecnico Mario Saugo (SER) e dalla Responsabile, Francesca Russo (Direzione Prevenzione). Era presente il Direttore Generale dell’Ulss 6 di Vicenza Giovanni Pavesi, che è anche commissario di altre due Ullss vicentine.
L’occasione era la presentazione di un ampliamento all’Ulss 5 Ovest Vicentino e all’area sud dell’Ulss 6 di Vicenza, con un focus specifico sui possibili effetti dei Pfas, del raggio d’azione del Registro Tumori del Veneto, unico in Italia nel suo genere che, dalla sua attivazione, ha così raggiunto la copertura del 67% dell’intera popolazione regionale.
Per quanto riguarda la nuova area del Vicentino monitorata, nelle Aziende ULSS 5 e 6 Sud vi sono 7 Comuni compresi nell’area ‘di massima esposizione’ a PFAS, per una popolazione di circa 45.000 residenti. Considerando tutti i tumori, l’incidenza in questi Comuni è risultata inferiore rispetto alle aree RTV sia nei maschi (417 x 100.000 contro 497) che nelle femmine (334 x 100.000 contro 366).
E’ stata prospettata una possibile associazione tra inquinamento da PFAS e i tumore del rene e del testicolo. Per queste due sedi tumorali la registrazione è stata ampliata al quadriennio 2010-2013. In quattro anni sono stati diagnosticati 21 tumori del rene, con un’incidenza nettamente inferiore al resto del Veneto sia nei maschi (9.9 x 100.000 contro 18.7) che nelle femmine (5.9 x 100.000 contro 7.7). I tumori del testicolo sono stati 9 (incidenza di 9.5 x 100.000 contro 7.1 nel resto del Veneto). Nessuna di queste differenze è risultata statisticamente significativa.
Poiché il RTV non copre tutta la popolazione interessata dalla contaminazione da PFAS, è stata eseguita un’analisi delle resezioni per tumore del testicolo, come indicatore surrogato dell’insorgenza di nuovi casi di tumore del testicolo in tutta la Regione. Sono stati utilizzati i dati dei ricoveri avvenuti tra il 1997 ed il 2014 in maschi residenti in Veneto, di età compresa tra 15 e 54 anni, dimessi con una diagnosi di tumore maligno del testicolo dopo essere stati sottoposti a intervento di resezione del testicolo. Il tasso di resezioni dell’area esposta a PFAS è risultato identico a quello del resto del Veneto (11 x 100.000 per entrambi).
In conclusione, da nessuna delle analisi effettuate è emersa alcuna evidenza di una maggiore incidenza di tumori a carico delle popolazioni esposte a PFAS, sia per le sedi oggetto di particolare attenzione che per tutti i tumori.
In proposito, va specificato che, a livello internazionale, l’International Agency for Research on Cancer dell’Organizzazione Mondiale della Sanità classifica le sostanze in questione “con possibilità cancerogene, basate su limitate evidenze negli umani, per i tumori del testicolo e del rene”.
Dal punto di vista delle azioni di prevenzione, è stato confermato che lo screening con tutta una serie di esami di primo e secondo livello, tutti esenti ticket, su tutte le persone residenti nella cosiddetta area rossa, composta da 21 Comuni, inizierà in autunno, appena completata la complessa fase organizzativa che prevede il contatto personale con ogni singolo cittadino (in tutto circa 126 mila). Sulla base di considerazioni scientifiche si partirà da una coorte composta da tutti coloro che hanno tra 14 e 65 anni (circa 85 mila). Confermato anche il prossimo avvio del monitoraggio sulla catena alimentare che partirà non appena definite con l’Istituto Superiore di Sanità le aree da monitorare e il paniere degli alimenti da trattare.
La Direzione Regionale Prevenzione, ha infine presentato una nuova iniziativa informativa: il Bollettino dell’Acqua Potabile in Veneto, già emesso per il corrente mese di luglio e che avrà cadenza mensile, che informa, con spiegazioni e tabelle, sulla qualità dell’acqua potabile in generale e particolarmente in relazione all’inquinamento da PFAS.
MINAMBIENTE CONTESTA DECRETO AUTORIZZAZIONE ALLO SCARICO DEL COLLETTORE ARICA. LA REGIONE: CI ADEGUIAMO
L'altra notizia arriva dal ministero dell'Ambiente, dove il capo del settore salvaguardia, Gaia Checcucci, ha inviato una lettera al dipartimento ambiente della Regione Veneto, contestando il rinnovo quadriennale dell'autorizzazione allo scarico nel canale Fratta a Cologna Veneta e all'esercizio del collettore del consorzio Arica; il ministero ritiene inaccettabili i termini della concessione che - sostanzialmente - non prevede restrizioni nell'anno in corso e rinvia ai prossimi tre anni le riduzioni dei limiti delle concentrazioni di Pfas: queste ultime - si afferma da Roma - non devono essere considerate «valori obiettivo» da perseguire nel tempo bensì «valori di riferimento immediatamente applicabili, da ridurre progressivamente fino alla completa eliminazione». Beneficiaria principale del rinnovo è l'azienda chimica Miteni di Trissino: indicata da più parti come la fonte principale del maxi inquinamento ambientale, ha sempre respinto ogni accusa e domani aprirà le porte dello stabilimento ai visitatori per illustrare «i sistemi di produzione, controllo ed emissione dei Pfas».
L’Ufficio Stampa della Giunta regionale, in materia di autorizzazione allo scarico del collettore “Arica”, precisa quanto segue:
La Regione aveva recentemente rinnovato l’autorizzazione allo scarico del collettore consortile ARICA, che raccoglie gli scarichi depurati dei cinque impianti di depurazione pubblici di Arzignano, Montebello Vicentino, Montecchio Maggiore, Trissino e Lonigo, imponendo un significativo percorso di riduzione dei carichi inquinanti, con particolare attenzione ai composti perfluoroalchilici, più noti come PFAS, fino a condurli ai limiti delle acque potabili.
Il Ministero dell’Ambiente ha però voluto imporre alla Regione la immediata applicazione dei valori limite proposti dall’Istituto Superiore di Sanità (validi per acque potabili) per gli scarichi contenenti residui di PFAS.
Anche la Regione aveva previsto di raggiungere gli stessi limiti, nel tempo più breve possibile consentito dalle migliori tecnologie disponibili (MTD), con un percorso che tenesse conto della necessità fisica di adeguamento degli impianti di depurazione e produttivi, considerata la palese impossibilità pratica di raggiungere lo stesso risultato da un giorno all’altro. Il tutto a seguito di una approfondita analisi tecnica e normativa.
Con il proprio intervento, il Ministero, esercitando la propria competenza e seguendo un percorso più restrittivo rispetto alla normativa vigente ha individuato la priorità da perseguire, i tempi di applicazione ed infine il percorso amministrativo, messo a carico alla Regione.
La Regione non può che adeguarsi alla perentoria imposizione dello Stato, procedendo a modificare in tal senso l’autorizzazione. 
(Fonti Il Mattino di Padova e Regione Veneto) - 22 luglio 2016 
 

lunedì 1 agosto 2016

Pfas in Ovest Vicentino, dai depuratori dovrà uscire acqua potabile 15 luglio 2016


Pfas in Ovest Vicentino, dai depuratori dovrà uscire acqua potabile


depuratore valle dell'agnoLa Regione ha stabilito i limiti di Pfas per i depuratori del consorzio Arica. Come si apprende dal Giornale di Vicenza, Arica raccoglie l’acqua dai depuratori di Trissino, Arzignano, Montecchio Maggiore, Montebello e Lonigo, per riversarla nel fiume Fratta. Il nuovo decreto regionale stabilisce che entro il giugno 2020 il limite di Pfos sarà di 30 ng/litro, quello di Pfoa 500 ng/litro, così come indicato dall’Istituto superiore di sanitàFonte: consorzioarica.«Abbiamo chiesto dei chiarimenti sul decreto», riferisce Antonio Mondardo, presidente Arica, «che sembra più che altro ispirato dall’emotività. Perché fissare per i reflui gli stessi limiti per l’acqua potabile? Il decreto poi parla delle “migliori tecnologie disponibili” per raggiungere il risultato. E quali sono?». In sostanza, per Mondardo «serve chiarezza, perché i gestori sono chiamati a fare investimenti importanti». Fuori dal depuratore di Trissino al momento escono Pfos per 294 ng/litro e Pfoa per 1184 ng/litro e per un Monardo che si lamente, c’è un Movimento 5 Stelle che attacca; «Diamo all’Arica altri quattro anni per adeguarsi? Agli acquedotti e agli agricoltori non ci sembra siano stati concessi gli stessi tempi per uniformarsi».