È esplosivo il verbale che il 4 febbraio scorso è giunto sulla scrivania del segretario generale della sanità veneta,
Domenico Mantoan. Il documento, inviato da
Francesca Russo direttrice del settore igiene e sanità pubblica,
spiega senza mezze misure che le analisi condotte sino ad oggi dalla
Regione Veneto e dalle sue agenzie sulla presenza dei pericolosissimi
pfas negli alimenti, hanno un valore
prossimo allo zero. Lacune, contraddizioni e scaricabarile: queste le evidenze che emergono dal carteggio-bomba.
TOSSICITA’
Nel 2013 esplode il caso dei cosiddetti
pfas, sostanze derivate dal fluoro impiegate in molti settori industriali. Queste sostanze, che sono
altamente tossiche poiché interferiscono col sistema ghiandolare, vengono trovate
in primis,
ma non solo, lungo l’asta fluviale e lungo il sistema di falda
dell’Agno Guà Fratta, fra le province di Verona e Vicenza. I primi
riscontri come sorgente inquinante parlano della
Miteni
(in foto), una notissima azienda chimica di Trissino nel Vicentino. Ma
nel frattempo si accendono le luci anche su altri comparti industriali, a
partire dalla concia e dalla farmaceutica. Pur non essendoci limiti di
legge precisi circa la presenza nell’ambiente di tali sostanze, il
problema assume nei mesi un peso via via crescente. Ci sono addirittura
alcune segnalazioni alla autorità giudiziaria. Infatti vengono anche
impugnate avanti alla magistratura amministrativa
le soglie di tolleranza adottate
dall’Istituto Superiore di Sanità e a cascata dalla Regione Veneto. Nel frattempo sempre la Regione, con tanto di rassicurazioni
fornite dall’assessore alla sanità
Luca Coletto,
aveva avviato una campagna di monitoraggio che andasse oltre il vaglio
sulla contaminazione delle acque, prendendo in esame lo stato di salute
degli alimenti. Il tutto avviene sotto la regia di una commissione ad
hoc, la “Commissione tecnica regionale pfas” coordinata dalla Russo e
che vede tra i componenti di punta
Giovann Frison (direttore prevenzione e sanità pubblica) e
Giorgio Cester (direttore sezione veterinaria e sicurezza alimentare).
ACCUSA
La riunione materialmente si è tenuta il 13 gennaio. Il verbale porta la data del 4 febbraio 2016 e il protocollo è il 44211.
Vvox può anticiparne in esclusiva
la copia integrale che, allegati a parte, consta di 6 pagine. Nel documento (alcuni brani del quale sono già finiti sul
Fatto Quotidiano peraltro) le parole della Russo suonano come
un vero e proprio j’accuse
nei confronti della sezione sicurezza alimentare. Specialmente là dove
la dirigente chiede come mai alle istituzioni pubbliche che si stanno
interessando della materia, Istituto Superiore di Sanità in primis, «
non siano stati trasmessi ufficialmente i rapporti di prova
che rappresentano il riscontro oggettivo e legalmente valido dei
risultati analitici dei controlli, base necessaria per qualunque
intervento istituzionale». Anche perché, si lamenta sempre la Russo,
tali informazioni sarebbero state inviate mediante una tabella
«sintetica non firmata né datata». Un altro passaggio investe il
direttore della sezione veterinaria, vale a dire il dottor Cester: «…
non si comprende
la motivazione» per cui «i campioni» sugli alimenti siano stati
«prelevati in un arco temporale lungo che va da novembre 2014 a giugno
2015» mentre i risultati si sono avuti «tutti insieme a settembre 2015
senza tenere in considerazione il fatto che il referto relativo alla
sostanza che può nuocere alla salute deve essere fatto subito dopo il
campionamento perché potrebbe comportare
la necessità di provvedimenti urgenti
o di modifiche nel programma di campionamento stesso (…) Un tempo
durante il quale la popolazione ha continuato ad assumere alimenti con
concentrazioni critiche di pfas». In sequenza c’è un’altro rilievo,
quello di Arpav, che fa presente che la mancanza «
di un sistema organizzato
e integrato di banche dati… rende estremamente complesso… applicare…
gli strumenti di analisi… necessari… richiesti dalla normativa».
DIFESA
Dal canto suo Cester informa di avere trasmesso all’Iss i rapporti di
prova «delle analisi sugli alimenti» condotti dall’Istituto
Zooprofilattico regionale, noto anche come
Izsve. Introduce il suo intervento rimarcando come «
altre priorità come la diossina» richiedano attenzione spiegando poi che «ogni azienda Ulss coinvolta» abbia condotto «campionamenti
a modo proprio
senza stilare per ogni campione la scheda anagrafica» ad esso
riferibile. Ma nella sua prolusione Cester afferma anche che le delibere
regionali di riferimento (la 2611 del 30 dicembre 2013 e la 168 del 20
febbraio 2014) prevedevano l’obbligo di compilare appositi questionari
per contestualizzare i risultati acquisiti, ma che
tali questionari non siano stati «compilati dalle Ulss che hanno effettuato i prelievi» sugli alimenti. Infine, Cester dichiara «
di non avere mai i rapporti di prova
dei singoli alimenti» presi a campione, e ribadisce «che non avrebbe
fatto comunque nulla per la mancanza di valori di riferimento
ministeriali». Ammette che «i campioni sono stati analizzati tutti alla
fine perché l’Izsve non aveva finanziamenti ad hoc, per cui i campioni
sono stati
congelati e poi analizzati». Si tratta di un
passaggio delicatissimo che segue ad una domanda specifica della Russo,
la quale si era chiesta come mai il direttore della Sezione alimentare,
anche nel suo ruolo di ufficiale di autorità regionale competente «a
seguito delle informazioni sui dati da lui stesso definiti critici sugli
alimenti
non abbia dato seguito ad azioni conseguenti».
A pagina 5 del verbale l’ultimo botta e risposta tra Russo e Cester:
quest’ultimo, incalzato dai colleghi affinché chiarisca se i campioni
testati siano ancora rintracciabili, risponde pacificamente che
non è stata data alcuna indicazione
e che «non è in grado di garantire che i campioni non siano già stati
eliminati». Poi afferma che gli alimenti più contaminati sono «pesci e
uova» e che è preoccupato dal fatto che ci siano sul territorio
allevamenti che si occupano di produzione e distribuzione «
di tali alimenti a livello nazionale». Al che la Russo domanda a Cester se sia consapevole del «
conseguente danno economico e di immagine che ne può derivare per la Regione Veneto».
SCONTRO
Un altro alto funzionario regionale in distacco da Arpav presso il
settore sanità pubblica, la dottoressa Marina Vazzoler, definisce «
poco spiegabile
la ragione per cui i campioni e i risultati non siano stati trasmessi
alla Regione». Così parte l’ennesima frecciata all’Istituto
zooprofilattico quando si precisa che non è spiegabile che un ente
strumentale regionale come l’Izsve «non avesse effettuato subito le
analisi
visto che trattasi di emergenza di sanità pubblica». L’altra bordata arriva dal direttore del settore ambiente, l’ingegnere
Fabio Strazzabosco,
il quale denuncia che non si è dato seguito ad azioni «di tutela della
salute per le persone che hanno mangiato e stanno magiando alimenti con
presenza di concentrazioni critiche… Non siamo in grado di avere – tuona
Strazzabosco – un piano di controllo sugli alimenti valido… la tabella
dei risultati senza contesto, spiegazioni e ufficialità… si presta
ad interpretazioni scientifiche errate».
CASO POLITICO
E che quello dei derivati del fluoro, i cosiddetti pfas, sia un
caso nazionale lo si era capito quando due anni e mezzo fa si delinearono
i contorni
del bacino potenzialmente colpito dalla contaminazione. Un bacino di
300-400mila persone. Sono gli stessi alti funzionari a rendersi conto
che il monitoraggio sin qui condotto
rischia di essere un flop.
Sul fronte politico, a parte il consigliere regionale del Pd Andra
Zanoni, sono addirittura i vertici del M5S, a partire dal vicepresidente
della Camera
Luigi Di Maio, ad aver chiesto accesso
agli atti per conoscere quali siano le evidenze in possesso dell’Iss.
Interpellato, l’assessore all’ambiente, il leghista Giampaolo Bottacin,
non prende posizione. Lo stesso dicasi per il suo collega alla sanità
Coletto e per il governatore leghista
Luca Zaia. Si attende risposta anche
dai dirigenti menzionati nel verbale.