Condividiamo e ringraziamo i medici dell'ISDE per queste osservazioni
Il
comitato direttivo della sezione veneta dell’associazione Medici per
l’Ambiente- ISDE Italia ha analizzato i risultati dello studio del
Registro Tumori del Veneto (RTV) ,
oggetto dell’articolo comparso il 28 ottobre 2016 sull’edizione on line
del vostro giornale dal titolo “Pfas, incidenza tumori nella media nei
21 Comuni interessati”.
A nostro parere, in realtà si tratta di una pseudo-notizia, data in pasto con grande risalto mediatico all'opinione pubblica, spesso a torto preoccupata più dei tumori che di altre malattie altrettanto gravi, per nascondere la notizia vera, e cioè che nell'area contaminata da PFAS ci si ammala e si muore di più rispetto alla media regionale per malattie non tumorali.
I PFAS sono innanzitutto interferenti endocrini, perturbatori del metabolismo degli zuccheri e dei grassi. Questo meccanismo potrebbe essere alla base dell'aumento della mortalità in entrambi i sessi nei comuni ad alta esposizione ai PFAS per diabete mellito, infarto acuto del miocardio, ictus cerebrale e solo nelle donne, anche per malattia di Alzheimer e cancro nel rene, con percentuali variabili dal 12 al 30 percento in più.
Questo eccesso di mortalità è stato osservato dai ricercatori ISDE-ENEA in uno studio retrospettivo di mortalità, cui ISDE Veneto ha collaborato, per gli anni 1980-2010. I risultati del nostro studio sono stati in seguito confermati per le stesse malattie (tranne il cancro renale) e con le stesse percentuali (12-30% in più) anche da uno studio compiuto dagli epidemiologi della regione per gli anni 2007-2014, studio che finora non è mai stato pubblicato per esteso sui siti istituzionali. In compenso, sono stati scomodati i media per annunciare che sostanze, che forse cancerogene non sono, non hanno provocato aumento dei cancri nelle zone interessate. Infatti, fra tutti i PFAS, soltanto uno, il PFOA, è stato classificato come possibilmente cancerogeno per l’uomo. La maggioranza dei PFAS, se non tutti, invece, sono unanimemente riconosciuti dalla comunità scientifica come interferenti endocrini e probabile concausa di malattie croniche e degenerative, quali sono quelle appena ricordate.
Tornando allo studio sull’incidenza delle malattie tumorali nella zona rossa, ci preme stigmatizzare come, dei 21 comuni considerati ad alto rischio, solo la metà sono stati esposti veramente ad elevate concentrazioni di PFOA nel 2013. Gli altri comuni, stando ai dati ufficiali, non avevano nel 2013, anno di riferimento dello studio del RTV, concentrazioni di PFOA superiori ai limiti che sarebbero stati poi fissati nel 2014. Infine, i risultati riferiti ad un solo anno e su una popolazione di 100.000 abitanti circa NON possono essere considerati significativi, checché ne dicano i ricercatori del RTV. È importante che i lettori sappiano che, l’AIRTUM (l’associazione dei registri tumori italiani), per considerare validi i dati forniti dai singoli registri, richiede dati riferiti ad un milione di abitanti e/o ad almeno cinque anni consecutivi. Entrambi i criteri, lo abbiamo visto, non sono stati rispettati nello studio del RTV. E come chiunque può facilmente costatare visitando il sito dell’AIRTUM, gli ultimi dati del RTV validati sono fermi al 2006. Esistono, pertanto, seri dubbi che i dati sull’incidenza tumorale degli anni 2008-2009 dell’intera regione, utilizzati come confronto, siano stati confermati e validati dalle istituzioni competenti.
A nostro parere, la notizia molto più grave e importante è l'eccesso di morbilità e mortalità ancora in atto nelle zone ad alta contaminazione da PFAS per malattie non neoplastiche, per ipercolesterolemia e malattie della tiroide.
Le autorità sanitarie locali e regionali e i sindaci, quindi dovrebbero immediatamente applicare il principio di precauzione previsto dalle leggi europee e interrompere l’esposizione alle principali fonti di contaminazione per l’uomo: l’acqua potabile e gli alimenti contaminati. Ma questo significa avere il coraggio di prendere decisioni e attuare provvedimenti dolorosi e impopolari che non portano voti, ma che sono i soli in grado di tutelare veramente la salute umana, cioè proibire l’uso di acqua inquinata e la produzione e commercializzazione di prodotti agricoli e alimentari provenienti dalle zone esposte, assicurando nel contempo fonti di approvvigionamento alternative non contaminate per gli esseri umani, l’agricoltura e gli animali da allevamento.
A nostro parere, in realtà si tratta di una pseudo-notizia, data in pasto con grande risalto mediatico all'opinione pubblica, spesso a torto preoccupata più dei tumori che di altre malattie altrettanto gravi, per nascondere la notizia vera, e cioè che nell'area contaminata da PFAS ci si ammala e si muore di più rispetto alla media regionale per malattie non tumorali.
I PFAS sono innanzitutto interferenti endocrini, perturbatori del metabolismo degli zuccheri e dei grassi. Questo meccanismo potrebbe essere alla base dell'aumento della mortalità in entrambi i sessi nei comuni ad alta esposizione ai PFAS per diabete mellito, infarto acuto del miocardio, ictus cerebrale e solo nelle donne, anche per malattia di Alzheimer e cancro nel rene, con percentuali variabili dal 12 al 30 percento in più.
Questo eccesso di mortalità è stato osservato dai ricercatori ISDE-ENEA in uno studio retrospettivo di mortalità, cui ISDE Veneto ha collaborato, per gli anni 1980-2010. I risultati del nostro studio sono stati in seguito confermati per le stesse malattie (tranne il cancro renale) e con le stesse percentuali (12-30% in più) anche da uno studio compiuto dagli epidemiologi della regione per gli anni 2007-2014, studio che finora non è mai stato pubblicato per esteso sui siti istituzionali. In compenso, sono stati scomodati i media per annunciare che sostanze, che forse cancerogene non sono, non hanno provocato aumento dei cancri nelle zone interessate. Infatti, fra tutti i PFAS, soltanto uno, il PFOA, è stato classificato come possibilmente cancerogeno per l’uomo. La maggioranza dei PFAS, se non tutti, invece, sono unanimemente riconosciuti dalla comunità scientifica come interferenti endocrini e probabile concausa di malattie croniche e degenerative, quali sono quelle appena ricordate.
Tornando allo studio sull’incidenza delle malattie tumorali nella zona rossa, ci preme stigmatizzare come, dei 21 comuni considerati ad alto rischio, solo la metà sono stati esposti veramente ad elevate concentrazioni di PFOA nel 2013. Gli altri comuni, stando ai dati ufficiali, non avevano nel 2013, anno di riferimento dello studio del RTV, concentrazioni di PFOA superiori ai limiti che sarebbero stati poi fissati nel 2014. Infine, i risultati riferiti ad un solo anno e su una popolazione di 100.000 abitanti circa NON possono essere considerati significativi, checché ne dicano i ricercatori del RTV. È importante che i lettori sappiano che, l’AIRTUM (l’associazione dei registri tumori italiani), per considerare validi i dati forniti dai singoli registri, richiede dati riferiti ad un milione di abitanti e/o ad almeno cinque anni consecutivi. Entrambi i criteri, lo abbiamo visto, non sono stati rispettati nello studio del RTV. E come chiunque può facilmente costatare visitando il sito dell’AIRTUM, gli ultimi dati del RTV validati sono fermi al 2006. Esistono, pertanto, seri dubbi che i dati sull’incidenza tumorale degli anni 2008-2009 dell’intera regione, utilizzati come confronto, siano stati confermati e validati dalle istituzioni competenti.
A nostro parere, la notizia molto più grave e importante è l'eccesso di morbilità e mortalità ancora in atto nelle zone ad alta contaminazione da PFAS per malattie non neoplastiche, per ipercolesterolemia e malattie della tiroide.
Le autorità sanitarie locali e regionali e i sindaci, quindi dovrebbero immediatamente applicare il principio di precauzione previsto dalle leggi europee e interrompere l’esposizione alle principali fonti di contaminazione per l’uomo: l’acqua potabile e gli alimenti contaminati. Ma questo significa avere il coraggio di prendere decisioni e attuare provvedimenti dolorosi e impopolari che non portano voti, ma che sono i soli in grado di tutelare veramente la salute umana, cioè proibire l’uso di acqua inquinata e la produzione e commercializzazione di prodotti agricoli e alimentari provenienti dalle zone esposte, assicurando nel contempo fonti di approvvigionamento alternative non contaminate per gli esseri umani, l’agricoltura e gli animali da allevamento.
Vincenzo Cordiano, presidente della sezione di Vicenza e referente per
il Veneto dell'Associazione Medici per l'Ambiente - ISDE Italia onlus
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