La concia ora rallenta «Difficoltà nell’export»
Una contrazione dei posti di lavoro che
non si registrava da almeno 5/6 anni nel distretto conciario della
Valchiampo. L’allarme arriva dai sindacati, dalla Uiltec Uil in
particolare, che registra la richiesta di 7 domande di cassa
integrazione ordinaria, avviate da inizio settembre «per circa 70/80
persone, anche se i numeri non sono ancora definiti», precisa il
segretario Massimo Zordan, e la chiusura di tre aziende, per 40/45 posti
di lavoro, che hanno comunicato la cessazione dell’attività nel primo
semestre e hanno chiuso entro luglio. «La preoccupazione c’è - continua
Zordan, segretario Uiltec Uil distretto di Vicenza - a questo si
aggiungono le principale aziende conciarie che per evitare di ricorrere a
cassa integrazione o sospensioni dei lavoratori, applicano sempre più
contratti a termine che non vengono rinnovati o prorogati».
EXPORT IN CALO. «Detto che il posto di lavoro a vita non è più nel
mercato di oggi - precisa Bernardo Finco, presidente della Sezione
Concia di Confindustria Vicenza - purtroppo la contingenza
internazionale non è favorevole. Si registra una forte contrazione del
mercato asiatico, che si è letteralmente fermato, e comunque dei mercati
esteri: la Cina è sparita e tra le potenze emergenti il Brasile è allo
sbaraglio e in Russia non si può esportare per l’embargo, e questo ci ha
tolto un partner importante sia in termini di acquisto che di vendita.
Però c’è ancora ottimismo: l’automotive va bene, il made in Italy e i
nostri marchi anche. Le aziende di piccole medie dimensioni che
chiudono? A volte c’è un problema generazionale oltre che
occupazionale».
DEPURAZIONE E LIMITI. Altro tema sollevato dai sindacati è relativo
alla «saturazione dell’utilizzo dell’acqua nei trattamenti delle
lavorazioni - come spiega ancora Zordan, Uiltec Uil - che ha portato
alcuni gruppi ad andare verso altri distretti come la Toscana (il Gruppo
Mastrotto investe 15 milioni di euro per un nuovo stabilimento a S.
Croce sull’Arno, ndr). Qui c’è un doppio problema: i limiti imposti
sulla capacità di depurazione e le restrizioni in tema di inquinanti. In
Toscana ci sono modalità diverse di lavorazioni e di depurazione». «È
un’analisi che abbiamo condiviso con i sindacati - spiega Andrea
Pellizzari, consigliere delegato di Acque del Chiampo - il problema
della saturazione dell’acqua è noto ed esiste da 8 anni. Ogni metro cubo
di disponibilità depurativa, in virtù delle categorie di appartenenza, è
già stato assegnato. L’impianto sta lavorando al 110%. Fino al 2012
c’era una sorta di “banca dell’acqua”, che poteva riassegnare una parte
di quote non utilizzate ad altre concerie. Ora non più. Il distretto è
cresciuto, la capacità depurativa degli impianti è aumentata nell’ultimo
decennio del 35%. Quest’anno la società ha ricevuto l’input di studiare
una nuova linea di depurazione e di valutare l’effetto positivo del
nuovo impianto di ozonizzazione. Per quanto riguarda i limiti, in
Toscana non c’è il tema pfas. Lì tra l’altro la normativa ambientale è
diversa. La nostra in tema di tutela dell’ambiente è tra le più alte in
assoluto».
LE AZIENDE. «Le aziende investono in Toscana? Sono costrette ad andare
via se non si fanno progetti per il futuro - conclude il presidente
della Sezione Concia Bernardo Finco - è vero, c’è la questione pfas, ma
sono i limiti quantitativi a rappresentare il problema. Avrebbero dovuto
investire molto di più nell’impianto di depurazione e adeguarlo alla
crescita delle imprese, alla dimensioni delle capacità produttive del
distretto visto che è un settore che funziona. Altrimenti si va in
Toscana o all’estero. Non è stata fatta una politica a favore delle
aziende. Abbiamo provato a dialogare come consulta e associazioni di
categoria. Qui c’era bisogno di investire». •
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