Arsenico nell’acqua, aperta procedura contro l’Italia
In Italia
l’acqua potabile è sempre stata una risorsa di cui gli italiani sono
stati orgogliosi e fieri. Per far capire quanto ci tengano si potrebbe
ricordare il grande movimento popolare che ha portato al successo del referendum contro la privatizzazione
dell’acqua nel 2011. Già allora si discuteva dei problemi della nostra
rete idrica, dei grossi investimenti di cui necessitava e della
conseguente necessità di permettere l’entrata nel mercato di soggetti
privati. Dopo la chiara indicazione politica espressa dal referendum si è
però fatto forse troppo poco per la risoluzione di quei problemi,
complice la crisi economica e la cronica mancanza di fondi. A
sottolinearlo è stata la recente apertura, lo scorso 10 luglio, di una
procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea, nei confronti
dell’Italia per la qualità della nostra acqua.
Il problema non è sicuramente una
novità, non riguarda tutto il Paese naturalmente, anzi in molte zone
l’acqua potabile è ottima, ma, come è noto, la Commissione non fa
distinzioni, chiamando in causa in ogni caso l’Italia in quanto Stato.
L’Unione Europea prevede limiti stringenti per l’acqua destinata all’uso umano: la Drinking Water Directive del
1998 prevede, infatti, il rispetto di circa 48 parametri e indicatori
microbiologici e chimici. Lo scopo della Direttiva è di assicurare che
l’acqua potabile sia pulita e senza ogni tipo di contaminazione. A tal
fine prevede, in caso di violazione, che ogni Stato membro possa
ottenere fino a tre deroghe di tre anni ciascuna, in assenza di rischi
gravi per la salute e solo se lo Stato presenta un piano serio di
rientro nel lungo termine. L’Italia tuttavia non è riuscita a rientrare nei tempi previsti dalla Direttiva.
Per ben tre volte infatti ha ottenuto una deroga, cioè finché non è più
stato possibile ottenerne. Ora se il problema non si dovesse risolvere
velocemente l’unica strada che rimane è quella dell’apertura di una
procedura d’infrazione.
Scendendo nel particolare le violazioni riguardano soprattutto il Lazio, in cui, come conclude la nota stampa della Commissione, “il limite per l’arsenico e il fluoruro
non è ancora rispettato in 37 zone”. Naturalmente la stessa Regione
Lazio sta agendo il più velocemente possibile per porre fine a questa
situazione, visto che comunque le deroghe vengono concesse solo in
presenza di un piano di rientro. Già nel 2011 veniva nominato un
Commissario Delegato per l’emergenza e venivano poi avviati interventi per circa 12 milioni di euro, con fondi messi a disposizione dalla stessa Regione Lazio.
Questa prima tranche di interventi,
chiamata Prima fase, serve per risolvere il problema in quei comuni in
cui la concentrazione di arsenico nell’acqua è superiore ai 20
microgrammi/litro. Successivamente la stessa Regione ha stanziato altri 24 milioni di euro
per attuare la seconda fase, cioè intervenire anche in quelle aree in
cui la concentrazione è compresa tra i 10 e i 20 microgrammi/litro, con
la realizzazione di 49 potabilizzatori in 35 comuni. Infine, come spiega
la stessa Regione in una nota, il Lazio “ha deciso di investire 110 milioni di euro di fondi europei
anche per opere finalizzate al raggiungimento di un assetto più stabile
e definitivo, attraverso la creazione di nuove connessioni tra
acquedotti finalizzate alla miscelazioni di acque provenienti da siti
diversi, così da addolcire la presenza di arsenico”.
Nel frattempo si continua a utilizzare
l’acqua contaminata, ma con le dovute accortezze. Infatti lo stesso
Istituto Superiore della Sanità in una nota stampa dell’aprile 2013
ricorda che “l’esposizione umana alla forma inorganica dell’arsenico
presente nelle acque è associata a importanti effetti tossici
nell’essere umano, tra cui gli effetti cancerogeni a carico di diversi
organi” e quindi ne consigliava l’utilizzo per un periodo di tempo il
più possibile limitato.
Sembra strano in ogni caso pensare che ben tre deroghe non siano state ancora sufficienti
a risolvere il problema. Per questo, dopo la lettera di messa in mora,
la Commissione potrebbe procedere oltre aprendo una procedura di
infrazione con tutte le conseguenze del caso. D’altronde la sicurezza di
un bene primario come l’acqua dovrebbe essere sempre assicurata, a
tutela soprattutto dei cittadini e dell’ambiente.
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