martedì 17 febbraio 2015
EFSA e limiti dei PFAS - Facciamo un po' di chiarezza
Molti di coloro che si interessano di PFAS
dimostrano di no sapere di cosa. L'EFSA non si è mai occupata di valori
dell'acqua potabile ma di dose totale tollerabile giornaliera che comprende la
dose totale di PFAS che ci sorbiamo, oltre che con l'acqua, anche con gli
alimenti, con l'aria che respiriamo, con la polvere di casa ecc. A me sembra
che questi decisori politici e sanitari fanno una confusione enorme. Anche per
questo dovrebbero andarsene a casa. L’EFSA ha stabilito una TDI (Tolerable
Daily Intake o dose giornaliera tollerabile di 1500 nanogrammi per kilo di peso
corporeo (NON per litro di acqua) al giorno per il PFOA e di 150 ng/kg per il
PFOS. Questo significa che un bambino di dieci chili potrebbe assumere fino a
15.000 ng di PFOA al giorno senza avere problemi di salute ( e questo è da
dimostrare).
Questi 15000 ng totali, saranno quindi forniti
da diverse fonti o sorgenti di PFAS: una dall’acqua potabile, una parte dagli
alimenti, un’altra parte dall’aria che inspiriamo, un’altra parte dalla polvere
di casa ecc. ecc.
Quindi voi che siete curiosi vi chiederete: è
possibile calcolare il contributo relativo di ognuna di queste fonti. Ma certo
che è possibile, che domande fate.
Allora, secondo l’EFSA ( e molti altri
enti) l’acqua potabile contribuirebbe
per un 20% alla TDI totale di PFAS. Perciò, nel caso del PFOA, ammesso che un
bambino beva un litro di acqua al giorno, questa anche se contenesse 3000 ng/L
di PFOA, apporterebbe solo il 20% della dose totale (15.000 x 0,2= 3.000). Il
bambino potrebbe assumerne per altre vie altri 12000 ng al giorno senza avere
problemi di salute, secondo l’EFSA (affermazione scientificamente non
dimostrata).
Tutto bene, allora, perché anche se ne beve di
due litri con 3000 mg ci sarà ancora un margine di sicurezza notevole.
Non va bene per niente, miei cari per vari
motivi, altrimenti non sarei qui a farvi perdere tempo.
Primo, la quota relativa del 20% all’acqua
potabile potrebbe andar bene per le zone con acqua potabile scarsamente
contaminata. Secondo lo stato del Minnesota, USA, nel caso di falde acquifere
pesantemente inquinate il contributo relativo dell’acqua potabile alla TDI può
arrivare al 60%, percentuale che si ottiene con un litro di acqua contenente
9000 ng/L (15.000 x 0,6= 9000). E cosa
succede se quel bambino ne beve 1,5 litri al giorno di quell’acqua? Quasi
sicuramente supera ogni giorno la TDI “permessa” dall’EFSA, soprattutto se
mangia spesso pesce, magari pescato nelle acque anch’esse contmainate dalal
stessa quantità di PFOA, E se il pozzo privato ne contiene 19.000 ng/L come
pare sia successo a Lonigo? Allora ne basta anche tre quarti al giorno per
superare la TDI.
Secondo, come dicono chiaramente i curatori del sito
dell’ULSS20 di VR “Enti regolatori
diversi hanno proposto nel recente passato differenti dosi tollerabili per PFOA
e PFOS, o valori guida nell’acqua potabile, anche partendo dagli stessi dati
sperimentali. Tali divergenze rispecchiano le difficoltà insite nel risk
assessment dei composti perfluoroalchilici, per le loro non comuni caratteristiche
chimiche e biologiche” (notare l’affermazione .. anche partendo dagli stessi
dati sperimentali, il che pone il problema della validità biologica di queste
estrapolazioni o elucubrazioni, per meglio dire, ma di questo parleremo
un’altra volta).
Per
esempio l’EPA (grosso modo l’equivalente del nostro ministero per l’ambiente )
negli USA ha stabilito una TDI di 200 ng/kg al giorno per il PFOA e 80 ng/kg
per il PFOS (vedi
tabella sul sito ULSS 20).
Perché
le autorità regionali hanno scelto i valori dell’EFSA? E perché negli incontri
pubblici autorevoli rappresentanti delle istituzioni sanitarie locali e
regionali non hanno mai fatto cenno all’esistenza di queste TDI più
“restrittive”. Forse perché se si adottasse la TDI dell’EFSA, il PFOA non dovrebbe
superare i 400 ng/L nel caso del bambino di 10 kg (200x10= 2000; 2000 x 0,2=
400). E in Veneto si permettono 500 ng/L.
Terzo,
l’EFSA non si è mai occupata dei PFAS diversi da PFOA e PFOS, pertanto nessuno
sa cosa comporta l’esposizione a tali molecole.
Infine,
perché nel primo parere del 7/6/2013 dell’Istituto Superiore di Sanità a firma
Loredana Musmeci, si affermava a chare lettere la preferenza per la TDI
dell’EPA, mentre nel secondo parere del gennaio 2014 la stessa autrice fa
marcia indietro e non fa più alcun cenno alla TDI più restrittiva dell’EFSA.
Qualcuno
potrebbe fare qualche collegamento malizioso co i 450.000 euro che la Regione
Veneto ha stabilito di versare all’Istituto Superiore di Sanità per le loro
preziose consulenze fornite nella gestione del caso PFAS, ma noi no.
Noi
speriamo solo di aver fatto un po’ di chiarezza e di aver contribuito a fa
comprendere il vero significato della TDI dell’EFSA che, dimenticavo, è stata stabilità
da un gruppo di esperti almeno dei quali era affetto da gravi conflitti di
interesse, essendo sponsorizzata da industrie chimiche e produttrici di PFAS.
Secondo le stesse regole dell’EFSA, molti di questi ricercatori non avrebbero
potuto essere nominati fra gli esperti dell’EFSA, ma anche di questo parleremo
un’altra volta.
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