Pfas. Il monito del Parlamento a Governo e Regione: «Troppa confusione». Restano aperte ancora molte questioni. E spunta pure il caso dei fanghi di depurazione usati nei campi
Piero Erle. «All’esito di questo excursus emerge evidente
la grande confusione che regna nella gestione delle sostanze
perfluoroalchiliche da parte della Regione e del Ministero
dell’ambiente, gestione che ha minato l’efficacia dei risultati»:
l’inquinamento continua. La vicenda Pfas è talmente delicata che la cosa
più assurda è trasformarla in scambi di accuse tra istituzioni e tra
parti politiche. Ma resta il fatto che la situazione è tutt’altro che
risolta e che questo schiaffo al Governo e alla Regione è scritto nero
su bianco nella relazione sulla vicenda Pfas della “Commissione
parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei
rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati”, curata dai
parlamentari Alessandro Bratti, Luis Alberto Orellana e Giuliano Palma e
pubblicata nel Bollettino della Camera.
Insomma, un documento ufficiale di Stato. Alla sua uscita, a inizio febbraio, ci furono accuse di inesattezze e “sommarietà” rivolte dalla Regione e dall’azienda Miteni – ritenuta la causa storica principale dell’inquinamento – al testo varato dai parlamentari, ma nel suo complesso il quadro uscito dalla Commissione pone quesiti che non paiono certo futili e ancora senza risposta.
IL PROBLEMA DEI LIMITI. «Invero – è una delle critiche della Commissione – i limiti dei vari Pfas fissati nelle varie matrici ambientali sono incompleti e si riferiscono a sostanze diverse da matrice a matrice». Il quadro infatti non è semplice e non pare essersi risolto, come in fondo dimostra la stessa nuova lettera con cui la Regione {vedi a lato) chiede al Ministero e all’Ue di intervenire per fissare “numeri” e “divieti” rispetto alla presenza dei diversi Pfas nel territorio. Non è infatti ancora coerente il quadro dei diversi limiti di concentrazione che vanno rispettati. Quelli cioè per gli scarichi industriali direttamente nei corsi d’acqua superficiali (ad esempio quelli che la Miteni invia direttamente nel Poscola e non in fognatura, dopo averli trattati con i carboni attivi, perché sono di acque di raffreddamento). Quelli che le aziende fanno invece nella fognatura (la Commissione ad esempio sottolinea che Avs-Alto Vicentino Servizi consente alla Miteni livelli troppo alti di Pfas nell’acqua diretta al depuratore di Trissino). E poi ci sono i valori da garantire nelle acque di falda sotterrane e in quelle di superficie. E infine ci sono i valori da garantire nell’acqua potabile distribuita dagli acquedotti: sono fissati dalla Regione (che ora vorrebbe ridurli) su indicazione dell’Iss-Istituto superiore di sanità, e vengono rispettati con l’utilizzo massiccio di filtri a carboni attivi. Ma il problema come noto è che i filtri a loro volta si usurano, con il rischio da una parte che, se non vengono cambiati, rischia di peggiorare la qualità dell’acqua, e dall’altra che il loro continuo ricambio faccia crescere fino al 40% il costo del servizio di acquedotto (la Commissione l’ha appreso dai sindaci dei Comuni vicentini). Per questo la Regione sta correndo per progettare tubazioni (dal Brenta, dal Veronese, da sud) che portino alla centrale di Almisano acqua non inquinata da Pfas, e per questo aspetta con ansia che il Governo mandi davvero gli 80 milioni di euro promessi per questo tipo di intervento.
LA QUESTIONE DELLA BONIFICA. Sullo sfondo però, e la Commissione parlamentare lo ricorda a tutti i soggetti in campo, c’è anche l’altra questione immane da affrontare: la bonifica dell’area inquinata. «La mancanza di limiti normativi, da considerare come Csc-concentrazione soglia di contaminazione, aveva imposto all’Arpav – scrive la Commissione – la necessità di richiedere alla Regione Veneto chiarimenti in merito ai limiti da utilizzare per poter proseguire con l’iter di bonifica. La Regione, a sua volta, ha inoltrato la richiesta al Ministero dell’ambiente»: la risposta è arrivata dall’Iss e cioè 5 milligramni per chilo «per i suoli ad uso industriale, solo per il parametro Pfoa», e invece per l’acqua di falda, sempre per il solo Pfoa, 500 nanogrammi per litro. «Quest’ultimo limite è stato fatto proprio dalla Regione Veneto», che lo ha fissato. C’è però da capire come si potrà passare ai fatti per la bonifica dell’area. E anche per i fiumi, scrive la Commissione, «emerge che si riscontrano diversi superamenti nei limiti degli standard di qualità delle acqua per Pfos e Pfoa».
FANGHI E PERCOLATO. C’è un ultimo fronte che la Commissione ha delineato: quello dei fanghi prodotti dalla lavorazione dei depuratori, e poi magari usati per compost, e del percolato delle discariche. In pratica «sussiste concretamente il rischio che fanghi inquinati da sostanze perfluoroalchiliche vengano interrati come rifiuti, o utilizzati in agricoltura»: ci sono alcuni casi. E, viste le segnalazioni dell’Arpav, «non può essere sottaciuta la circostanza che nel percolato di molte discariche del Veneto sono presenti sostanze perfluoroalchiliche in concentrazioni rilevanti». È tutta una “filiera” cui bisognerà far fronte.
Il Giornale di Vicenza – Piero Erle – 7 giugno 2017
Insomma, un documento ufficiale di Stato. Alla sua uscita, a inizio febbraio, ci furono accuse di inesattezze e “sommarietà” rivolte dalla Regione e dall’azienda Miteni – ritenuta la causa storica principale dell’inquinamento – al testo varato dai parlamentari, ma nel suo complesso il quadro uscito dalla Commissione pone quesiti che non paiono certo futili e ancora senza risposta.
IL PROBLEMA DEI LIMITI. «Invero – è una delle critiche della Commissione – i limiti dei vari Pfas fissati nelle varie matrici ambientali sono incompleti e si riferiscono a sostanze diverse da matrice a matrice». Il quadro infatti non è semplice e non pare essersi risolto, come in fondo dimostra la stessa nuova lettera con cui la Regione {vedi a lato) chiede al Ministero e all’Ue di intervenire per fissare “numeri” e “divieti” rispetto alla presenza dei diversi Pfas nel territorio. Non è infatti ancora coerente il quadro dei diversi limiti di concentrazione che vanno rispettati. Quelli cioè per gli scarichi industriali direttamente nei corsi d’acqua superficiali (ad esempio quelli che la Miteni invia direttamente nel Poscola e non in fognatura, dopo averli trattati con i carboni attivi, perché sono di acque di raffreddamento). Quelli che le aziende fanno invece nella fognatura (la Commissione ad esempio sottolinea che Avs-Alto Vicentino Servizi consente alla Miteni livelli troppo alti di Pfas nell’acqua diretta al depuratore di Trissino). E poi ci sono i valori da garantire nelle acque di falda sotterrane e in quelle di superficie. E infine ci sono i valori da garantire nell’acqua potabile distribuita dagli acquedotti: sono fissati dalla Regione (che ora vorrebbe ridurli) su indicazione dell’Iss-Istituto superiore di sanità, e vengono rispettati con l’utilizzo massiccio di filtri a carboni attivi. Ma il problema come noto è che i filtri a loro volta si usurano, con il rischio da una parte che, se non vengono cambiati, rischia di peggiorare la qualità dell’acqua, e dall’altra che il loro continuo ricambio faccia crescere fino al 40% il costo del servizio di acquedotto (la Commissione l’ha appreso dai sindaci dei Comuni vicentini). Per questo la Regione sta correndo per progettare tubazioni (dal Brenta, dal Veronese, da sud) che portino alla centrale di Almisano acqua non inquinata da Pfas, e per questo aspetta con ansia che il Governo mandi davvero gli 80 milioni di euro promessi per questo tipo di intervento.
LA QUESTIONE DELLA BONIFICA. Sullo sfondo però, e la Commissione parlamentare lo ricorda a tutti i soggetti in campo, c’è anche l’altra questione immane da affrontare: la bonifica dell’area inquinata. «La mancanza di limiti normativi, da considerare come Csc-concentrazione soglia di contaminazione, aveva imposto all’Arpav – scrive la Commissione – la necessità di richiedere alla Regione Veneto chiarimenti in merito ai limiti da utilizzare per poter proseguire con l’iter di bonifica. La Regione, a sua volta, ha inoltrato la richiesta al Ministero dell’ambiente»: la risposta è arrivata dall’Iss e cioè 5 milligramni per chilo «per i suoli ad uso industriale, solo per il parametro Pfoa», e invece per l’acqua di falda, sempre per il solo Pfoa, 500 nanogrammi per litro. «Quest’ultimo limite è stato fatto proprio dalla Regione Veneto», che lo ha fissato. C’è però da capire come si potrà passare ai fatti per la bonifica dell’area. E anche per i fiumi, scrive la Commissione, «emerge che si riscontrano diversi superamenti nei limiti degli standard di qualità delle acqua per Pfos e Pfoa».
FANGHI E PERCOLATO. C’è un ultimo fronte che la Commissione ha delineato: quello dei fanghi prodotti dalla lavorazione dei depuratori, e poi magari usati per compost, e del percolato delle discariche. In pratica «sussiste concretamente il rischio che fanghi inquinati da sostanze perfluoroalchiliche vengano interrati come rifiuti, o utilizzati in agricoltura»: ci sono alcuni casi. E, viste le segnalazioni dell’Arpav, «non può essere sottaciuta la circostanza che nel percolato di molte discariche del Veneto sono presenti sostanze perfluoroalchiliche in concentrazioni rilevanti». È tutta una “filiera” cui bisognerà far fronte.
Il Giornale di Vicenza – Piero Erle – 7 giugno 2017
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