I Pfas versati in Veneto ammazzano. Lo svela una ricerca pubblicata sul European Journal of Public Health
Di
Pfas si muore. E si muore male. Ad affermarlo non sono più i “soliti”
ambientalisti ma una ricerca pubblicata sull’ultimo numero dell’European
Journal of Public Health. Rivista scientifica con tanto di peer review,
vale a dire la procedura di valutazione applicata a tutte le
pubblicazioni specialistiche da parte di esperti nel settore atta a
verificare ed a garantire la validità di quanto pubblicato.
La ricerca in questione, titolata “Drinking water contamination from perfluoroalkyl substances (Pfas): an ecological mortality study in the Veneto Region, Italy” (traducibile con “Contaminazione da acqua potabile da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas): uno studio descrittivo sulla mortalità nella Regione Veneto, Italia”) porta la firma di una equipe di scienziati coordinata dalla biologa Marina Mastrantonio dell’Enea. In fondo alla pagina, come allegato potete leggere una sua breve presentazione e l’integrale dell’intervista.
La ricerca ha messo a confronto i decessi avvenuti in Veneto nei Comuni dove le acque sono state contaminate dalle sostanze perfluoroalchiliche, Pfas, e quelli non interessati da questi inquinante, rivelando una innegabile presenza statistica nei primi di patologie come il tumore al rene e del seno, il diabete, le malattie cerebrovascolari, l’infarto miocardico, le malattie di Alzheimer e di Parkinson. Nonché un aumento della mortalità media di circa il venti per cento.
“Dal nostro studio – spiega la biologa – è emerso come nei comuni contaminati da Pfas ci siano degli eccessi statisticamente significativi della mortalità per alcune cause che non andrebbero sottovalutati in quanto la letteratura scientifica suggerisce un’associazione tra queste patologie ed esposizione a Pfas. In particolare è stato rilevato un aumento della mortalità generale negli uomini e nelle donne rispettivamente del 19% e 21%, del diabete (21% e 48%), malattie cerebrovascolari (34% e 29%) infarto (22% e 24%) e malattia di Alzheimer (33% e 35%). Nelle sole donne si osserva un aumento del 32% della mortalità per tumore del rene, del 11% del tumore della mammella e del 35% di Parkinson”.
Le zone inquinate dalla lavorazione della Miteni, l’azienda che utilizzava i Pfas per produrre tessuti impermeabili, si estende per circa 200 chilometri quadrati e tocca 4 province venete; Vicenza in particolare, ma anche Verona, Padova e Rovigo. Un bacino di circa 800 mila residenti potenzialmente vittime della contaminazione. Nell’immagine a fianco, le aree prese in considerazione dalla ricerca della dottoressa Mastrantonio e l’elenco dei Comuni nei quali è stato riscontrato una alta percentuale di decessi imputabili alle sopracitate patologie.
Da sottolineare come questa sia la prima indagine epidemiologica svolta in Italia su una popolazione la cui acqua sia stata contaminata da Pfas. Un inquinante che potremmo definire “emergente”, come spiega la biologa dell’Enea. “Come è noto i PFAS sono un gruppo eterogeneo di composti chimici molto stabili e ampiamente utilizzati in diversi prodotti (pesticidi, rivestimenti in carta e cartone, detergenti, cere per pavimenti, vernici, schiume antincendio, oli idraulici, rivestimenti antiaderenti delle pentole (Teflon) trattamenti dei tessuti impermeabili e traspiranti (Goretex). Di conseguenza, i Pfas rappresentano una classe emergente di inquinanti ambientali, ubiquitari, altamente persistenti, rilevabili in tutte le matrici (acqua, aria, suolo) e soggetti a bioaccumulo lungo la catena alimentare. I più importanti studi sulla tossicità dei PFAS nell’uomo sono stati eseguiti a seguito dello sversamento di queste sostanze nel fiume Ohio, in Virginia. Una azienda della Dupont che produceva Teflon vi riversava i suoi reflui idrici e l’acqua del fiume era utilizzata a scopo potabile. A seguito di una class action intentata dalla popolazione interessata, la Dupont fu costretta a finanziare una ricerca indipendente sugli effetti sanitari dei PFAS”.
La ricerca, in lingua inglese che potete scaricare in fondo alla pagina, conclude con un invito alla Regione Veneto di avviare “azioni immediate per evitare ulteriori esposizioni delle popolazioni a PFAS nell’acqua potabile”.
Azioni che, al di là di qualche dichiarazione di intenti di effettuare screening sulla popolazione, stiamo ancora aspettando. La stessa ricerca in questione non ha avuto nessun riscontro da parte della nostra Regione.
Bisogna anche considerare che il problema non sta solo nel verificato aumento di decessi per patologie imputabili a queste sostanze perfluoroalchiliche. Questi inquinanti sono responsabili anche di malattie a bassa mortalità ma comunque pericolose e debilitanti. “Nelle popolazioni residenti in aree altamente contaminate e nei lavoratori esposti professionalmente – continua la biologa Marina Mastrantonio – sono state rilevate associazioni con ipertensione in gravidanza, aumenti dei livelli di acido urico, arteriosclerosi, ischemie cerebrali e cardiache, infarto miocardico acuto e diabete. Per quanto riguarda le patologie tumorali, incrementi del rischio sono stati evidenziati soprattutto nelle popolazioni professionalmente esposte per tumori del testicolo, rene, vescica, prostata, ovaio, mammella, fegato, pancreas, linfoma non Hodgkin, leucemie e mieloma multiplo”.
E conclude: “Sulla base di tali evidenze e per un principio precauzionale non consiglierei agli abitanti delle aree interessate di bere acqua del rubinetto”.
Per chi vuole approfondire, qui trova l’intervista integrale alla dottoressa Marina Mastrantonio. Purtroppo non possiamo mettere on line la ricerca, che è di proprietà dell’Europea Journal of Public Health, ma qui trovate l’abstract. Contattate EcoMagazine se siete interessati ad approfondire l’argomento.
La ricerca in questione, titolata “Drinking water contamination from perfluoroalkyl substances (Pfas): an ecological mortality study in the Veneto Region, Italy” (traducibile con “Contaminazione da acqua potabile da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas): uno studio descrittivo sulla mortalità nella Regione Veneto, Italia”) porta la firma di una equipe di scienziati coordinata dalla biologa Marina Mastrantonio dell’Enea. In fondo alla pagina, come allegato potete leggere una sua breve presentazione e l’integrale dell’intervista.
La ricerca ha messo a confronto i decessi avvenuti in Veneto nei Comuni dove le acque sono state contaminate dalle sostanze perfluoroalchiliche, Pfas, e quelli non interessati da questi inquinante, rivelando una innegabile presenza statistica nei primi di patologie come il tumore al rene e del seno, il diabete, le malattie cerebrovascolari, l’infarto miocardico, le malattie di Alzheimer e di Parkinson. Nonché un aumento della mortalità media di circa il venti per cento.
“Dal nostro studio – spiega la biologa – è emerso come nei comuni contaminati da Pfas ci siano degli eccessi statisticamente significativi della mortalità per alcune cause che non andrebbero sottovalutati in quanto la letteratura scientifica suggerisce un’associazione tra queste patologie ed esposizione a Pfas. In particolare è stato rilevato un aumento della mortalità generale negli uomini e nelle donne rispettivamente del 19% e 21%, del diabete (21% e 48%), malattie cerebrovascolari (34% e 29%) infarto (22% e 24%) e malattia di Alzheimer (33% e 35%). Nelle sole donne si osserva un aumento del 32% della mortalità per tumore del rene, del 11% del tumore della mammella e del 35% di Parkinson”.
Le zone inquinate dalla lavorazione della Miteni, l’azienda che utilizzava i Pfas per produrre tessuti impermeabili, si estende per circa 200 chilometri quadrati e tocca 4 province venete; Vicenza in particolare, ma anche Verona, Padova e Rovigo. Un bacino di circa 800 mila residenti potenzialmente vittime della contaminazione. Nell’immagine a fianco, le aree prese in considerazione dalla ricerca della dottoressa Mastrantonio e l’elenco dei Comuni nei quali è stato riscontrato una alta percentuale di decessi imputabili alle sopracitate patologie.
Da sottolineare come questa sia la prima indagine epidemiologica svolta in Italia su una popolazione la cui acqua sia stata contaminata da Pfas. Un inquinante che potremmo definire “emergente”, come spiega la biologa dell’Enea. “Come è noto i PFAS sono un gruppo eterogeneo di composti chimici molto stabili e ampiamente utilizzati in diversi prodotti (pesticidi, rivestimenti in carta e cartone, detergenti, cere per pavimenti, vernici, schiume antincendio, oli idraulici, rivestimenti antiaderenti delle pentole (Teflon) trattamenti dei tessuti impermeabili e traspiranti (Goretex). Di conseguenza, i Pfas rappresentano una classe emergente di inquinanti ambientali, ubiquitari, altamente persistenti, rilevabili in tutte le matrici (acqua, aria, suolo) e soggetti a bioaccumulo lungo la catena alimentare. I più importanti studi sulla tossicità dei PFAS nell’uomo sono stati eseguiti a seguito dello sversamento di queste sostanze nel fiume Ohio, in Virginia. Una azienda della Dupont che produceva Teflon vi riversava i suoi reflui idrici e l’acqua del fiume era utilizzata a scopo potabile. A seguito di una class action intentata dalla popolazione interessata, la Dupont fu costretta a finanziare una ricerca indipendente sugli effetti sanitari dei PFAS”.
La ricerca, in lingua inglese che potete scaricare in fondo alla pagina, conclude con un invito alla Regione Veneto di avviare “azioni immediate per evitare ulteriori esposizioni delle popolazioni a PFAS nell’acqua potabile”.
Azioni che, al di là di qualche dichiarazione di intenti di effettuare screening sulla popolazione, stiamo ancora aspettando. La stessa ricerca in questione non ha avuto nessun riscontro da parte della nostra Regione.
Bisogna anche considerare che il problema non sta solo nel verificato aumento di decessi per patologie imputabili a queste sostanze perfluoroalchiliche. Questi inquinanti sono responsabili anche di malattie a bassa mortalità ma comunque pericolose e debilitanti. “Nelle popolazioni residenti in aree altamente contaminate e nei lavoratori esposti professionalmente – continua la biologa Marina Mastrantonio – sono state rilevate associazioni con ipertensione in gravidanza, aumenti dei livelli di acido urico, arteriosclerosi, ischemie cerebrali e cardiache, infarto miocardico acuto e diabete. Per quanto riguarda le patologie tumorali, incrementi del rischio sono stati evidenziati soprattutto nelle popolazioni professionalmente esposte per tumori del testicolo, rene, vescica, prostata, ovaio, mammella, fegato, pancreas, linfoma non Hodgkin, leucemie e mieloma multiplo”.
E conclude: “Sulla base di tali evidenze e per un principio precauzionale non consiglierei agli abitanti delle aree interessate di bere acqua del rubinetto”.
Per chi vuole approfondire, qui trova l’intervista integrale alla dottoressa Marina Mastrantonio. Purtroppo non possiamo mettere on line la ricerca, che è di proprietà dell’Europea Journal of Public Health, ma qui trovate l’abstract. Contattate EcoMagazine se siete interessati ad approfondire l’argomento.
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