Pfas, valori anomali nella metà dei residenti. Colesterolo alle stelle, più colpiti gli uomini. «Contaminazione anche ambientale»
Michela Nicolussi Moro. A una settimana dalla chiusura
del bando di gara che assegnerà a un’équipe di scienziati il compito di
accertare l’eventuale collegamento tra Pfas e malattie metaboliche e di
approfondire il comportamento delle sostanze perfluoroalchiliche nel
sangue con l’andare del tempo, la Regione presenta gli esiti dello
screening condotto dal gennaio 2017 al 18 marzo scorso sui primi 9757
residenti della zona rossa. Ovvero l’area comprensiva di 21 Comuni tra
le province di Vicenza, Padova e Verona la cui falda acquifera per
trent’anni è stata contaminata da composti usati per produrre pentole
antiaderenti, contenitori alimentari, tessuti e pellami
impermeabilizzati. Il campione citato, di età compresa tra 16 e 40 anni e
inserito in un totale di 84.852 persone da esaminare su base
volontaria, è stato sottoposto a esami del sangue, delle urine e a
misurazione della pressione, per ricercare la presenza di 12 tipi di
Pfas. E per valutare lo stato di salute di reni, fegato, tiroide e
appurare eventuali alterazioni del metabolismo di grassi e degli
zuccheri. Quattro tipi di Pfas, cioè Pfoa, Pfos, Pfhxs e Pfna, nel 50%
dei soggetti evidenziano valori sopra la soglia.
Per Pfos e Pfhxs c’è una concentrazione mediana di 4 nanogrammi per millilitro di sangue, per i Pfna di 0,5 e per i Pfoa di 51, con una variabilità molto ampia, fino ai 1400 nanogrammi (valore «normale»: 8). I Pfoa inoltre sono circa il doppio negli uomini (68 nanogrammi per millilitro, contro i 38 riscontrati nelle signore), perché le donne in età fertile eliminano una certa quantità di sostanze con il ciclo mestruale. L’altro indicatore significativo è che nel 21% dei veneti analizzati il colesterolo è fuori norma, anomalia sempre più accentuata col crescere dell’età. Gli altri parametri sono fuori norma del 4%-5%. «Per evitare che in questi soggetti insorgano malattie per le quali la presenza di Pfas nel sangue rappresenta un fattore di rischio, abbiamo predisposto approfondimenti negli ambulatori di secondo livello specializzati in Endocrinologia e Cardiologia — spiega la dottoressa Francesca Russo, a capo del Dipartimento regionale di Prevenzione —. Inizierà questo percorso il 53% del campione, cioè 5212 persone: al 13% è stata consigliata la visita in entrambi gli ambulatori».
Se nei 21 Comuni della zona rossa il Registro tumori non ha infatti rilevato un’incidenza di neoplasie superiore al resto del Veneto, il Servizio epidemiologico regionale ha riscontrato una crescita di casi di ipercolesterolemia, diabete mellito, ipotiroidismo e malattie cardiovascolari. Riflettori puntati soprattutto sui residenti dell’area rossa A (Alonte, Asigliano, Brendola, Cologna Veneta, Lonigo, Montagnana, Noventa Vicentina, Pojana Maggiore, Pressana, Roveredo di Guà, Sarego, Zimella), nei quali si evidenzia una concentrazione di Pfoa e Pfhxs quasi doppia rispetto a quella emersa negli abitanti dell’area rossa B (Albaredo, Arcole, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant’Anna, Legnago, Minerbe, Terrazzo, Veronella). «Ciò suggerisce che, a parità di contaminazione dell’acqua potabile distribuita dall’acquedotto, anche la contaminazione dell’ambiente abbia avuto un ruolo nel determinare il carico corporeo di Pfas — recita il dossier regionale —. Sono dunque oggetto di rivalutazione l’area contaminata e l’analisi dei dati relativi a dipendenti ed ex lavoratori dell’azienda produttrice di queste sostanze (sotto accusa la Miteni di Trissino, ndr )». La Regione, con l’Istituto superiore di Sanità, sta eseguendo un biomonitoraggio dei residenti nelle zone rurali, che 20-30 anni fa possono essere stati contaminati, oltre che dall’acqua dei pozzi privati, da aria e alimenti e sta ricostruendo la rete dei vecchi acquedotti, Comune per Comune. Arrivando anche a definire l’uscita del singolo tubo, per poi invitare allo screening gli abitanti di quella via o area.
Concluso questo lavoro, sarà rivalutata l’area arancione, a ridosso della rossa, e partirà pure lì lo screening della popolazione.
IL Corriere del Veneto – 28 marzo 2018
Per Pfos e Pfhxs c’è una concentrazione mediana di 4 nanogrammi per millilitro di sangue, per i Pfna di 0,5 e per i Pfoa di 51, con una variabilità molto ampia, fino ai 1400 nanogrammi (valore «normale»: 8). I Pfoa inoltre sono circa il doppio negli uomini (68 nanogrammi per millilitro, contro i 38 riscontrati nelle signore), perché le donne in età fertile eliminano una certa quantità di sostanze con il ciclo mestruale. L’altro indicatore significativo è che nel 21% dei veneti analizzati il colesterolo è fuori norma, anomalia sempre più accentuata col crescere dell’età. Gli altri parametri sono fuori norma del 4%-5%. «Per evitare che in questi soggetti insorgano malattie per le quali la presenza di Pfas nel sangue rappresenta un fattore di rischio, abbiamo predisposto approfondimenti negli ambulatori di secondo livello specializzati in Endocrinologia e Cardiologia — spiega la dottoressa Francesca Russo, a capo del Dipartimento regionale di Prevenzione —. Inizierà questo percorso il 53% del campione, cioè 5212 persone: al 13% è stata consigliata la visita in entrambi gli ambulatori».
Se nei 21 Comuni della zona rossa il Registro tumori non ha infatti rilevato un’incidenza di neoplasie superiore al resto del Veneto, il Servizio epidemiologico regionale ha riscontrato una crescita di casi di ipercolesterolemia, diabete mellito, ipotiroidismo e malattie cardiovascolari. Riflettori puntati soprattutto sui residenti dell’area rossa A (Alonte, Asigliano, Brendola, Cologna Veneta, Lonigo, Montagnana, Noventa Vicentina, Pojana Maggiore, Pressana, Roveredo di Guà, Sarego, Zimella), nei quali si evidenzia una concentrazione di Pfoa e Pfhxs quasi doppia rispetto a quella emersa negli abitanti dell’area rossa B (Albaredo, Arcole, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant’Anna, Legnago, Minerbe, Terrazzo, Veronella). «Ciò suggerisce che, a parità di contaminazione dell’acqua potabile distribuita dall’acquedotto, anche la contaminazione dell’ambiente abbia avuto un ruolo nel determinare il carico corporeo di Pfas — recita il dossier regionale —. Sono dunque oggetto di rivalutazione l’area contaminata e l’analisi dei dati relativi a dipendenti ed ex lavoratori dell’azienda produttrice di queste sostanze (sotto accusa la Miteni di Trissino, ndr )». La Regione, con l’Istituto superiore di Sanità, sta eseguendo un biomonitoraggio dei residenti nelle zone rurali, che 20-30 anni fa possono essere stati contaminati, oltre che dall’acqua dei pozzi privati, da aria e alimenti e sta ricostruendo la rete dei vecchi acquedotti, Comune per Comune. Arrivando anche a definire l’uscita del singolo tubo, per poi invitare allo screening gli abitanti di quella via o area.
Concluso questo lavoro, sarà rivalutata l’area arancione, a ridosso della rossa, e partirà pure lì lo screening della popolazione.
IL Corriere del Veneto – 28 marzo 2018
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