Si sono chiuse le indagini sull’inquinamento della falda idrica nel Veneto provocato dai Pfas, le famigerate sostanza perfluoroalchiliche che, stando ad alcuni studi, causano danni irreversibili all’organismo. Nelle province di Vicenza, Verona e Padova le persone interessate sono circa 350mila, pari alla popolazione che ha usato l’acqua inquinata, proveniente da acquedotti e pozzi artesiani. La Procura di Vicenza ha notificato gli avvisi di chiusura delle indagine a 13 persone, in particolare manager dell’azienda Miteni di Trissino, considerata la fonte dell’inquinamento. Gli indagati potranno farsi interrogare o depositare memorie difensive, poi la procura potrà procede alla richiesta di rinvio a giudizio.
I magistrati vicentini contestano i reati di avvelenamento delle acque e “disastro innominato”, per fatti accaduti fino al 2013. Ma è già aperto un filone per i fatti accaduti in epoca successiva. Nell’elenco troviamo innanzitutto i manager giapponesi di Mitsubishi Corporation che hanno avuto il controllo della Miteni dal 2002 al 2009, ovvero Maki Hosoda, 53 anni, Kenij Ito, 61 anni, e Yuji Suetsune, 57 anni. Il secondo gruppo è costituito dai vertici della società tedesca Icig-International chemical investors se, che è proprietaria di Icig Italia 3 holding srl, a cui è passato il controllo dell’azienda nel 2009. Si tratta di Hendrik Schnitzer, di 61 anni, Achim Georg Hannes Riemann, 65, Alexander Nicolaas Smit, di 75, cittadino olandese residente in Francia, e l’irlandes Brian Anthony Mc Glynn, 62 anni, residente a Milano. Smit è stato presidente dal 2009 al 2012, Glynn gli è succeduto nel 2012. C’è un terzo gruppo di indagati, responsabili di stabilimento o dell’area tecnica. Si tratta di Luigi Guarracino, 62 anni, di Alessandria, Mario Fabris, 56 anni, di Fontaniva (Padova), Davide Drusian, 44 anni, di Marano, Mauro Cognolato, 46 anni, di Atrà (Venezia) e Mario Mistrorigo, 67 anni di Arzignano.

“In questo primo filone abbiamo contestato le condotte fino al 2013, ossia prima dell’entrata in vigore dell’ipotesi di disastro ambientale. Le riteniamo dolose” spiega il procuratore capo Antonino Cappelleri. Secondo la Procura, quindi, gli indagati erano consapevoli che Miteni inquinava “la falda e le acque superficiali destinate comunque al consumo”, ma non si sarebbero attivati per evitare le conseguenze degli sversamenti. Le indagini sono condotte dai sostituti Hans Roderich Blattner e Barbara De Munari. Come polizia giudiziaria hanno lavorato i carabinieri del Noe e i tecnici dell’Arpav. Secondo gli accertamenti sono stati sepolti nei terreni rifiuti e scarti di lavorazione, anche se dagli studi che erano stati commissionati dalla stessa Miteni emergesse la presenza, sia nel suolo che nell’acqua, di metalli e sostanze che avevano inquinato la falda.
Una conferma è venuta anche dal consulente Tony Fletcher, epidemiologo, coordinatore di una superperizia, affidata nel 2017, che ha concluso: “Le acque furono rese pericolose per la salute pubblica, a causa del riscontrato elevato bioaccumulo dei contaminanti Pfas e Pfoa nella popolazione esposta” e con valori “superiori ai cosiddetti valori obiettivo, con conseguente aumentata incidenza di effetti sanitari indesiderati quali l’aumento di livello di colesterolo”. Con i Pfas, purtroppo, non entra in gioco soltanto il colesterolo, ma gli effetti sono molto più ampi, come dimostrato da una recente indagine scientifica dell’Università di Padova sull’alterazione dello sviluppo sessuale degli adolescenti.

La consapevolezza dell’inquinamento prodotto, secondo gli inquirenti, sarebbe dimostrato anche dal prezzo di cessione di Miteni da Mitsubishi a a Icig, avvenuto nel 2009. Il prezzo pattuito fu di un solo euro, mentre il valore dell’azienda era stimato in 15 milioni di euro. Un accordo piuttosto strano, ma che avrebbe la sua spiegazione in alcuni documenti sequestrati in uno studio legale di Milano da cui risulterebbe la conoscenza dello stato di inquinamento provocato dalla Miteni.