lunedì 21 gennaio 2019

Miteni: IL PREAMBOLO E I NOMI DEGLI INDAGATI di Marco Milioni

Sono passate poche ore dalla decisone della procura di Vicenza di chiudere le indagini sull’affaire Miteni e già fioccano le polemiche sulle scelte adottate dai magistrati berici sui quali si è scagliata Legambiente del Veneto che parla di «deludente la mancata applicazione delle legge sugli eco-reati».

IL PREAMBOLO E I NOMI DEGLI INDAGATI

Quando ieri dagli uffici della procura della Repubblica di Vicenza è filtrata la notizia della chiusura delle indagini è stato fin da subito possibile avere una istantanea degli indagati rispetto ai quali le toghe si apprestano a chiedere il rinvio a giudizio.
L’elenco è composto da quattro giapponesi, ex manager di Mitsubishi la corporation, proprietaria della trissinese Miteni fino al 5 febbraio 2009- Maki Hosoda, Kenji Ito, Naoyuki Kimura e Yuji Suetsune, quest ultimo già presidente del consiglio di amministrazione -, poi ci sono altri quattro manager riferibili ad Icig international, la holding germanico-lussemburghese subentrata nella proprietà della fabbrica trissinese sino al recente fallimento del 9 novembre 2018 ; risultano poi indagati altri cinque tra ex manager e ex funzionari di Miteni con delghe specifiche in tema di sicurezza e ambiente. Si tratta dell’ex amministratore delegato Luigi Guarracino, dell’ex direttore tecnico Mario Fabris, di Mauro Cognolato, di Davide Drusian e di Mario Mistrorigo. Antonio Nardone, ultimo amministratore delegato di Miteni, è invece uscito dall’inchiesta poiché il suo arrivo sulla plancia di comando dell’azienda sarebbe troppo tardivo rispetto a reati che si sarebbero materializzati ben prima e che quindi non sarebbero a lui riconducibili.

LE ACCUSE

A vario titolo gli indagati sono accusati dai sostituti procuratori Hans Roderich Blattner e Barbara De Munari di avere inquinato l’ambiente sapendo di farlo, senza adottare adeguate contromisure e senza informare le autorità preposte. Tra le evidenze che i magistrati avrebbero portato a sostegno dell’impianto accusatorio c’è l’aspetto della compravendita del 2009 quando Miteni fu venduta dai Giapponesi ad Icig al prezzo di un euro pur a fronte di una società che valeva aleno quindici milioni. Si tratterebbe della indicazione rispetto ad un incombente costo di bonifica ascrivibile ad un inquinamento storico del quale i manager chiamati in causa fossero perfettamente a conoscenza. Il dettaglio emerse alcuni anni fa quando i carabinieri del Noe di Treviso, che ha svolto la maggior parte delle indagini preliminari, scovarono la documentazione della compravendita tra il gruppo nipponico e quello europeo. Secondo i magistrati berici però le contestazioni penali arrivano sino al 2013. Anno dal quale Miteni avrebbe cominciato un percorso di collaborazione con le istituzioni. Sul piano più formale la contestazione dei reati è quella di avvelenamento delle acque e disastro innominato in concorso con l’aggravante del dolo.

LA STOCCATA

Frattanto fra i vari protagonisti della vicenda, mondo ambientalista in primis, giungono i primi commenti sulle novità emerse a Borgo Berga, sede del palazzo di giustizia vicentino. Tra le primissime c’è stata quella di Legambiente Veneto che contesta la scelta della procura di fissare al 2013 il termine per la ricerca degli illeciti. Se le condotte degli ex manager fossero state ritenute penalmente rilevanti sino ai nostri giorni si sarebbe applicato il nuovo codice dei reati ambientali: che non solo prevede pene più severe ma limita il rischio della prescrizione. «La nostra associazione - si legge in un dispaccio pubblicato poche ore fa sul suo portale veneto - approfondirà i motivi per cui, allo stato attuale, non sono state applicate le fattispecie delle legge 68 del 2015, tra cui quella di disastro ambientale... che, a differenza di quella di disastro innominato, ha tempi di prescrizione ben più lunghi e rende meno difficoltosa l’identificazione dei responsabili».

QUESTIONE IN PUNTA DI DIRITTO

E mentre aumentano i malumori nella galassia ecologista e dei comitati per il cammino intrapreso dalla procura, la partita si trasferisce dal campo delle indagini preliminari a quella della interpretazione in diritto delle evidenze acquisite dagli investigatori.

La Miteni a partire dal 2013 ha davvero cominciato a collaborare o la cosiddetta autodenuncia altro non fu l’esito di una indagine sui Pfas che in realtà aveva preso il là grazie alla iniziativa del Cnr e dell’Arpav veneta? Le operazioni di sequestro materialmente condotte dai carabinieri, i documenti scovati da questi ultimi durante le perquisizioni, la maxi sanzione amministrativa da oltre tre milioni di euro comminata dal Noe a Miteni nel luglio dello scorso anno sono la spia di un managemet che ha tenuto un comportamento omissivo ed inerte o comunque non dimostrano una condotta penalmente rilevante, quanto meno per il periodo successivo al 2013? Le risposte a questi quesiti potrebbero fare capolino tra le pieghe del fascicolo relativo alla inchiesta. Si tratta del fascicolo 1943/16 mod. 21 al quale adesso potranno accedere le parti. Rispetto a quest’ultimo al momento non è nemmeno dato sapere se vi siano parti offese. E non è da escludere che, anche alla luce delle informazioni scritte nero su bianco in quegli atti, le associazioni ambientaliste facciano sentire la loro voce, anche all’ufficio del giudice delle indagini preliminari perché quest’ultimo riformuli le accuse.

LO SCENARIO

Bisognerà capire adesso che cosa succederà rispetto all’altro filone d’inchiesta rimasto allo stadio delle indagini preliminari, quello sugli sversamenti «dell’acido GenX»: rispetto al quale sembra che saranno distillate accuse di tipo colposo e non doloso. Altro capitolo invece è quello degli esposti redatti dalla Cgil, in cui si ipotizzano le lesioni a danno degli operai. In ultimo poi ci sono le denunce della associazione Greenpeace sulle presunte condotte omissive tenute da alcuni uffici regionali. Indiscrezioni giunte da Venezia parlano di uno o più fascicoli aperti proprio presso la procura del capoluogo regionale, competente per eventuali reati commessi dai funzionari della Regione o delle agenzie collegate alla regione.

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