Veneto, scontro Ministero-Regione sulle cure per i contaminati dai Pfas. Sospesi i trattamenti di plasmaferesi
Inviati
dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, venerdì scorso i
carabinieri del Nas si sono presentati negli uffici della Regione Veneto
per acquisire la documentazione sulla plasmaferesi, la cura a cui la
sanità regionale ha iniziato a sottoporre le persone contaminate dai
Pfas, sostanze perfluoroalchiliche riconosciute come interferenti
endocrini correlati a patologie riguardanti pelle, polmoni e
reni. L’inquinamento, scoperto nel 2013, interessa una sessantina di
Comuni nelle province di Vicenza, Verona e Padova, e probabilmente è in
corso da decenni dato che la principale fonte sospettata è l’impianto
della Miteni, entrato in attività nel 1964 e specializzato nella
produzione di molecole fluorurate per la farmaceutica, l’agricoltura e
l’industria tecnica. Veicolati dall’acqua, i Pfas hanno contaminato
anche la catena alimentare. L’Istituto superiore di sanità ha stimato
che 250 mila persone abbiano utilizzato per anni acqua potabile
inquinata da queste sostanze e che siano 60 mila quelle interessate da
un livello maggiore di contaminazione.
Gli accertamenti dei Nas sono avvenuti mentre, a Padova, il direttore generale della sanità regionale, Domenico Mantoan, illustrava ai giornalisti i
risultati
dell’utilizzo della procedura di plasmaferesi sulle persone
contaminate, affermando che nelle 70 persone che si sono sottoposte a
questa cura, di cui 30 hanno già terminato il ciclo di sei trattamenti,
si è registrata una diminuzione media dei Pfas pari al 35%, senza che si
siano verificati effetti collaterali. La Regione ha iniziato a
sottoporre a questa cura, a ottobre, i cittadini che ne hanno fatto
richiesta e che presentano una concentrazione di Pfas tra i 100 e i 200
ng/ml. La plasmaferesi consiste nella separazione della componente
liquida del sangue, cioè il plasma, dalla componente cellulare, per la
rimozione dal sangue degli agenti inquinanti chimici.
La Regione, però, ha deciso di sospendere questa cura, dopo che due giorni prima dell’ispezione dei carabinieri, nel corso di un
question time alla Camera dei deputati, il ministro Lorenzin ha risposto a un’
interrogazione
del Pd affermando che “il ministero della Salute e l’Istituto superiore
di sanità non sono mai stati formalmente interessati dalla Regione
Veneto circa l’utilizzo di questa terapia” e che “non risultano evidenze
scientifiche né specifiche raccomandazioni in ordine alla possibilità
di rimuovere gli Pfas o gli Pfoa attraverso l’uso della plasmaferesi:
anzi, le più recenti linee guida in materia non includono detti
contaminanti tra gli agenti inquinanti che possono essere rimossi con
tale tecnica. Il ricorso alla plasmaferesi è infatti fortemente
sconsigliato proprio in quelle situazioni particolari e rare (ed è
questo il caso dell’inquinamento da Pfas e Pfoa, presente nella sola
regione Veneto) in cui si registra una specifica tipologia di
inquinamento ambientale”.
Il ministro aveva annunciato che avrebbe valutato
“l’adozione di un’iniziativa volta a tutelare la salute dei cittadini
veneti”, dato che “la plasmaferesi è una terapia fortemente invasiva” e
“la regione Veneto, prima di sottoporre le persone a tale trattamento,
avrebbe dovuto procedere ad una preventiva sperimentazione, in
particolare nei confronti dei bambini e degli adolescenti, maggiormente
esposti a possibili conseguenze dannose per la salute”.
La Regione ha replicato con un
comunicato,
in cui afferma che l’atto con il quale la giunta regionale del Veneto
ha approvato le procedure per l’utilizzo della plasmaferesi o dello
scambio plasmatico per abbattere la contaminazione da Pfas è stato
inviato al ministero della Salute con lettera formale del 4 luglio 2017.
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