Acqua, la fabbrica dei veleni che allarma il Veneto
Nella giornata
mondiale che si celebra oggi, due storie di segno opposto: la prima, di
inquinamento delle risorse idriche. L’altra, virtuosa, in un rapporto
dell’Unesco
dal nostro inviato CORRADO ZUNINO
TRISSINO (VICENZA). IL PESCE
preso all'amo a Creazzo, una scardola da fiume, aveva nei tessuti 57,4
nanogrammi (per grammo) di Pfas, composto chimico nato dalla fusione di
solfuro di carbonio e acido floridico. Settecento volte sopra la soglia
del pericolo. Nel sangue di un operaio che ha lavorato per undici anni
nella fabbrica a sedici chilometri da Creazzo - la fabbrica è la Miteni
di Trissino, Nord Ovest di Vicenza - analisi private hanno contato
91.000 nanogrammi dello stesso Pfas. In un uomo della modernità, sono
studi nordamericani, ci dovrebbero essere dai due ai tre nanogrammi di
questo impermeabilizzante per giacconi e smartphone, prodotto dal 1938 e
usato nel mondo anche per le pellicole antiaderenti delle padelle, la
carta da pizza, la sciolina dei fondisti. I controlli ambientali, ecco,
offrono numeri fuori controllo. Serve capire - e al lavoro ci sono tre
procure, una delle quali, quella di Vicenza, ha già indagato nove
persone per inquinamento di acque e ambiente - se quantità straordinarie
di perfluoroalchilici presenti nel corpo producono danni alla salute.
Stefano
De Tomasi, ex operaio della Miteni, azienda chimica in perdita e oggi
nel portafoglio di due imprenditori tedeschi, ha 49 anni. Vive con una
pensione da 840 euro al mese in un appartamento sotto tetto di Valdagno.
Due cani e tredici pasticche al giorno gli fanno compagnia. "Ho
lavorato undici stagioni, e con grande impegno, nel reparto produzione
Pfas e Pfoa", racconta: "Sono stato un uomo allegro fino ai quaranta, ma
nel 2007 la depressione mi ha catturato. Una depressione clinica,
difficile da spiegare. Avevo accumulato giorni di malattia e l'azienda
mi ha licenziato. La salute è peggiorata e nel 2010 mi è scoppiato il
cuore. Poi il diabete, l'ipertensione arteriosa. Non ho studiato
abbastanza per dire se è colpa del C8, i composti a catena lunga, so che
ne producevamo tonnellate e di corsa. Nel 2011 sarebbero stati vietati e
i capireparto ci costringevano a lavorare con le macchine in movimento,
gli sbuffi dei fumi in faccia. In azienda facevamo controlli del
sangue, ma il medico interno mi ha sempre detto che i valori superiori a
40 nanogrammi non si potevano conoscere. Con trecento euro ho scoperto,
da solo, che sono a quota 91.000".
La seconda battaglia del Pfas - la prima, nella seconda metà dei
Settanta, portò alla chiusura della fabbrica allora del Conte Marzotto -
si è combattuta a partire dal marzo 2013, quando l'Unione europea
definì il Po il fiume più inquinato del continente. Un epidemiologo di
Valdagno, Vincenzo Cordiano, ha iniziato allora a incrociare i dati
Istat su morti e malattie e oggi può tracciare una virgola di
centottanta chilometri quadrati comprendente 79 comuni a sud di
Trissino: è l'area rossa, contaminata dal Pfas. Nel reparto della
Miteni, già, sono morte ventuno persone su sessantanove, dal 1965.
Nessuna di morte naturale. Con un'azione di controllo delle fonti - il
caso DuPont nell'Ohio, una transazione monstre a favore delle vittime
della multinazionale chimica - il dottor Cordiano ha scoperto che esiste
"una probabile correlazione" tra il cancro al rene nelle donne, il
cancro ai testicoli negli uomini e gli iperdosaggi del composto. Dopo il
coinvolgimento dell'associazione Terra dei Pfas, l'intervento di
avvocati che ora chiedono una class action, petizioni di Greenpeace, la
Regione Veneto di Luca Zaia ha allestito un controllo medico di massa:
novantamila persone, a fronte di una contaminazione che ha i connotati
dell'epidemia: da 200mila a 450mila interessati lungo il bacino del
Fiume Fratta Garzone. Dice ancora Cordiano: "Lo screening durerà dieci
anni, ma i dati ci sono già. Bisogna chiudere la Miteni e cercare una
nuova falda d'acqua".
Nelle ultime settimane, in una porzione di terreno sotto le
colline, sono usciti nuovi veleni. Questi sotterrati. L'amministratore
delegato Antonio Nardone, subentrato da un anno, dice che dal 2011 in
fabbrica non si producono più i composti a catena lunga, quelli che
restano a lungo nell'intestino. Il Tribunale delle acque di Venezia gli è
venuto incontro distribuendo le responsabilità: l'inquinamento di acque
e terre è figlio di una concentrazione di concerie e farmacie, non solo
colpa dell'azienda chimica. La cosa, se possibile, complica il quadro:
l'area industriale compresa tra Vicenza e Trissino potrebbe scoprirsi
un'enorme zona rossa.
Il mondo agricolo del Vicentino, viticoltori berici, produttori di latte e formaggi, tace. Operai vecchi e nuovi delle concerie di Sarego dicono invece: "Settant'anni di sviluppo alla cinese ci stanno uccidendo". Il procuratore di Vicenza, Antonino Cappelleri: "È un fatto accertato che ci sia un vastissimo inquinamento delle acque". Per accertare se nuoce alla salute la procura si è affidata all'Istituto superiore di sanità e al professor Tony Fletcher, quello della vertenza DuPont.
mento di CIR SpA
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Vicenza, 90mila persone in osservazione: viaggio nella fabbrica dei veleni
Il mondo agricolo del Vicentino, viticoltori berici, produttori di latte e formaggi, tace. Operai vecchi e nuovi delle concerie di Sarego dicono invece: "Settant'anni di sviluppo alla cinese ci stanno uccidendo". Il procuratore di Vicenza, Antonino Cappelleri: "È un fatto accertato che ci sia un vastissimo inquinamento delle acque". Per accertare se nuoce alla salute la procura si è affidata all'Istituto superiore di sanità e al professor Tony Fletcher, quello della vertenza DuPont.
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