I test sui quattordicenni. I medici: non c’è rischio
LONIGO (VICENZA) «Mia figlia ha
14 anni e un valore di Pfas nel sangue venti volte superiore alla norma.
Cosa devo fare? C’è un’alimentazione da seguire, altri esami da fare?
Abbiamo avuto l’esito delle analisi da un mese e nessuno ci dice cosa
succede adesso». E’ un urlo di rabbia quello di Michela Piccoli, una
delle tante mamme di Lonigo che a metà marzo ha ricevuto l’esito dello
screening sui «Pfas» nel sangue dei figli. L’esasperazione è sua e di
tanti altri genitori: il monitoraggio sta avendo successo, già 950
ragazzi dai 14 ai 18 anni della «zona rossa», i 21 Comuni dove la falda è
pesantemente inquinata dai composti perfluoro-alchilici, si sono
sottoposti ai test predisposti dalla Regione. Ma i risultati portano
altre domande. «Quasi tutti i ragazzi risultano avere livelli di Pfoa
nel sangue di 70 nanogrammi per litro di sangue — dichiara il direttore
medico dell’area ovest dell’Usl 8 Berica, Giampaolo Stopazzolo —. Ma se
non emergeranno complicazioni, li rivedremo fra due anni. Nel frattempo i
valori dovrebbero dimezzarsi».
«Mia figlia ha nel sangue 90 nanogrammi per litro di Pfoa», insiste Michela Piccoli, che di professione fa l’infermiera. Mostra il foglio con i risultati degli esami: alla riga riguardante il Pfoa c’è scritto, fra le classiche due parentesi, che la soglia massima dovrebbe essere 8 nanogrammi. «Io lavoro con i medici, quelli quando un paziente è grave lo dicono chiaramente. Qua invece non c’è chiarezza: ci dicano cosa fare — insiste la signora —. E poi non capiamo come sia successo, in casa noi beviamo solo acqua filtrata, abbiamo filtri attivi a osmosi inversa». Giovanna Dal Lago, un’altra mamma di Lonigo, di figli ne ha cinque. La famiglia ha il pozzo che pesca a 104 metri sotto terra, direttamente nella falda, ma quell’acqua non la bevono. Anzi la figlia più piccola, 14 anni, ha sempre bevuto acqua in bottiglia. «Eppure ha 172 nanogrammi di Pfoa nel sangue. Forse perché va molto in piscina — s’interroga la madre — siamo pieni di dubbi. Tra l’altro io e i miei due figli maggiori non abbiamo ancora i risultati, pur avendo fatto uno screening nel 2016». Giovanna sarebbe disposta «a pagare di più», pur di essere sicura che i Pfas nell’acqua del rubinetto siano a quota zero. Elena Canola, sempre di Lonigo, ha una figlia il cui esame ha evidenziato Pfoa a quota 91.
«Anche lei ha sempre bevuto acqua in bottiglia — assicura — a questo punto devo pensare che i Pfas si assumano anche con il cibo». Fabiola Dal Lago, sorella di Giovanna, riassume l’esigenza di tutti: «Questa prima analisi non basta, devono darci una vera profilassi e dirci come comportarci per il bene dei nostri figli». In questa parte di Veneto, ai confini fra Verona, Vicenza e Padova, la falda ormai fa paura. I composti considerati più inquinanti sono il Pfoa (acido perfluoroottanoico) e il Pfos. Sulla contaminazione, che l’Arpav del Veneto ha fatto risalire all’attività degli ultimi decenni dell’industria «Miteni » di Trissino, è in corso un’indagine della Procura di Vicenza. In parallelo nel 2013 le autorità sanitarie hanno imposto nelle aree contaminate l’uso di sola acqua del rubinetto, filtrata dalle società fornitrici, e la Regione da poco ha avviato un maxi screening che durerà dieci anni su circa 80mila persone fra i 14 e i 65 anni nei 21 Comuni dell’area rossa.
Quali sono le conseguenze sulla salute degli alti livelli di Pfoa (e Pfas in genere) nel sangue? Le indagini della Regione hanno evidenziato che fino al 2013 nell’area di maggior contaminazione c’è stata per le donne incinte un aumento della frequenza di diabete gravidico e di gestosi. E sono aumentati i bimbi nati più piccoli. Con i filtri le cose sono migliorate. Ma secondo l’Isde, società internazionale di medici per l’ambiente presieduta nel Vicentino dal medico Vincenzo Cordiano, in queste zone si rileva una maggiore incidenza di patologie legate al sistema endocrino. Dall’Usl 8 si ribadisce che verranno svolti ulteriori esami nei pazienti in cui il primo screening evidenzia problemi di salute. «Stiamo mettendo a punto un protocollo per il secondo livello di analisi — conferma Stopazzolo — da giugno verranno richiamati i soggetti che hanno valori di Pfas elevati nel sangue, oltre a problemi di fegato e colesterolo, o ai reni, alla tiroide e alla glicemia». Se è solo il Pfoa ad essere elevato, però, il richiamo arriverà fra due anni. «Chi invece ha altri valori alterati verrà richiamato subito. Come pure chi dovesse avere valori di Pfas altissimi nel sangue: ma al momento non ci risultano casi di questo tipo», conclude Stopazzolo.
«Mia figlia ha nel sangue 90 nanogrammi per litro di Pfoa», insiste Michela Piccoli, che di professione fa l’infermiera. Mostra il foglio con i risultati degli esami: alla riga riguardante il Pfoa c’è scritto, fra le classiche due parentesi, che la soglia massima dovrebbe essere 8 nanogrammi. «Io lavoro con i medici, quelli quando un paziente è grave lo dicono chiaramente. Qua invece non c’è chiarezza: ci dicano cosa fare — insiste la signora —. E poi non capiamo come sia successo, in casa noi beviamo solo acqua filtrata, abbiamo filtri attivi a osmosi inversa». Giovanna Dal Lago, un’altra mamma di Lonigo, di figli ne ha cinque. La famiglia ha il pozzo che pesca a 104 metri sotto terra, direttamente nella falda, ma quell’acqua non la bevono. Anzi la figlia più piccola, 14 anni, ha sempre bevuto acqua in bottiglia. «Eppure ha 172 nanogrammi di Pfoa nel sangue. Forse perché va molto in piscina — s’interroga la madre — siamo pieni di dubbi. Tra l’altro io e i miei due figli maggiori non abbiamo ancora i risultati, pur avendo fatto uno screening nel 2016». Giovanna sarebbe disposta «a pagare di più», pur di essere sicura che i Pfas nell’acqua del rubinetto siano a quota zero. Elena Canola, sempre di Lonigo, ha una figlia il cui esame ha evidenziato Pfoa a quota 91.
«Anche lei ha sempre bevuto acqua in bottiglia — assicura — a questo punto devo pensare che i Pfas si assumano anche con il cibo». Fabiola Dal Lago, sorella di Giovanna, riassume l’esigenza di tutti: «Questa prima analisi non basta, devono darci una vera profilassi e dirci come comportarci per il bene dei nostri figli». In questa parte di Veneto, ai confini fra Verona, Vicenza e Padova, la falda ormai fa paura. I composti considerati più inquinanti sono il Pfoa (acido perfluoroottanoico) e il Pfos. Sulla contaminazione, che l’Arpav del Veneto ha fatto risalire all’attività degli ultimi decenni dell’industria «Miteni » di Trissino, è in corso un’indagine della Procura di Vicenza. In parallelo nel 2013 le autorità sanitarie hanno imposto nelle aree contaminate l’uso di sola acqua del rubinetto, filtrata dalle società fornitrici, e la Regione da poco ha avviato un maxi screening che durerà dieci anni su circa 80mila persone fra i 14 e i 65 anni nei 21 Comuni dell’area rossa.
Quali sono le conseguenze sulla salute degli alti livelli di Pfoa (e Pfas in genere) nel sangue? Le indagini della Regione hanno evidenziato che fino al 2013 nell’area di maggior contaminazione c’è stata per le donne incinte un aumento della frequenza di diabete gravidico e di gestosi. E sono aumentati i bimbi nati più piccoli. Con i filtri le cose sono migliorate. Ma secondo l’Isde, società internazionale di medici per l’ambiente presieduta nel Vicentino dal medico Vincenzo Cordiano, in queste zone si rileva una maggiore incidenza di patologie legate al sistema endocrino. Dall’Usl 8 si ribadisce che verranno svolti ulteriori esami nei pazienti in cui il primo screening evidenzia problemi di salute. «Stiamo mettendo a punto un protocollo per il secondo livello di analisi — conferma Stopazzolo — da giugno verranno richiamati i soggetti che hanno valori di Pfas elevati nel sangue, oltre a problemi di fegato e colesterolo, o ai reni, alla tiroide e alla glicemia». Se è solo il Pfoa ad essere elevato, però, il richiamo arriverà fra due anni. «Chi invece ha altri valori alterati verrà richiamato subito. Come pure chi dovesse avere valori di Pfas altissimi nel sangue: ma al momento non ci risultano casi di questo tipo», conclude Stopazzolo.
26 aprile 2017
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Andrea Alba
Le
mamme di Lonigo contro le Pfas. Da sinistra, Elena Canola Giovanna Dal
Lago, Fabiola Dal Lago e Michela Piccoli (foto Optimabrand)
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