giovedì 24 marzo 2016

Contaminazione Pfas, primi esiti allarmanti dai test ematologici


Contaminazione Pfas, primi esiti allarmanti dai test ematologici

L’acqua inquinata avrebbe causato alte concentrazioni di perfluoroachilici nel sangue tra Vicenza e Padova

VENEZIA. La peste non è sostanza né accidente, quindi non esiste, sentenziava Don Ferrante prima di contrarre il morbo fatale. A evocare il passo manzoniano, la seduta straordinaria del Consiglio regionale sul caso Pfas, le sostanze perfluoroachiliche provenienti dagli scarichi di una multinazionale chimica di Trissino e capaci - nel corso degli anni Settanta - di inquinare le acque di un territorio esteso su 180 km, che attraversa le province di Vicenza, Padova e Verona ed è popolato da 350 mila persone. Il punto, ahinoi, è che in Italia - e nel resto d’Europa - manca una legge che definisca i valori consentiti e quelli vietati di Pfas, al punto che a tutt’oggi le tre Procure che indagano sulla vicenda non hanno potuto elevare un capo d’imputazione. Attenzione, non punibile non equivale a innocuo: lo sanno bene i comitati e gli ambientalisti che hanno affollato Palazzo Ferro-Fini sollecitando nuove e più concrete misure a tutela delle persone e dell’habitat.
Tant’è. In aula, Andrea Zanoni (Pd) ha suggerito una rotta possibile: «Bisogna far chiarezza, anche attraverso un’indagine epidemiologica, sui rischi per la salute e l’ambiente, verificare l’adeguatezza del progetto di bonifica, quantificare i costi sostenuti da pubbliche amministrazioni, aziende agricole e privati, valutando un esposto alla magistratura per far sì che a pagare siano i responsabili dell’inquinamento, non i contribuenti. E il dem Stefano Fracasso ha fatto eco: «Ci sono due priorità, chiudere i pozzi di Almisano e trovare soluzioni alternative per l’approvvigionamento d’acqua potabile, da un lato; mettere in rete le acque dei Consorzi di bonifica per garantire i migliori livelli di qualità per quella ad uso agricolo, dall’altro».
Per parte sua, l’assessore alla sanità Luca Coletto ha snocciolato le iniziative comiute - messa in sicurezza degli acquedotti, rinnovo dei filtraggi, divieto d’uso dei pozzi privati, controlli a campione sulla popolazione - confermando l’incarico di «un monitoraggio a vasta scala» all’Istituto superiore di sanità; viceversa, il suo collega all’Ambiente, Gianpaolo Bottacin, ha minizzato il rischio («Non esiste alcuna videnza scientifica di pericolo») fino a ipotizzare una denuncia per «procurato allarme» che gli è valsa le dure critiche dell’opposizione. Critici i tosiani: «La Regione si costituisca parte civile e ci spieghi in cosa il campionamento dell’Iss si differenzierà da quello già compiuto dalla Regione con una spesa di 500 mila e nessun esito noto», le parole di Maurizio Conte e Giovanna Negro.
Già, i 600 test medici svolti su altrettanti residenti delle zone contaminate: in assenza dell’esito ufficiale, un’indiscrezione definisce «molto elevato» il bioaccumulo di sostanze perfluoroachiliche nel sangue e nel fegato nei soggetti che hanno consumato l’acqua contaminata. Con quali conseguenze sull’organismo? Non è dato saperlo con certezza, pur se un’indagine delle Ulss vicentine nel 2009 segnalano nelle zone coinvolte «picchi di richieste di esenzione dal ticket per malattie alla tiroide e ictus da eccesso di colesterolo». Battagliero il M5S, che nei giorni scorsi ha denunciato alla Procura di Venezia presunte inadempienze della Commissione tecnica regionale sui Pfas, con
il capogruppo Jacopo Berti lesto a esibire una bottiglia d’acqua «sospetta» accusando di negligenza e ritardi la Regione, difesa invece dallo speaker leghista Nicola Finco: «A partire dal 2013 abbiamo fatto tutto il possibile, garantendo la sicurezza dei nostri acquedotti».

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