GIAN LUCA GALLETTI,
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Se siete d'accordo, vista la ristrettezza dei tempi che abbiamo a
disposizione, salterò la lettura di alcune parti, sperando che la
relazione mantenga una sua
Pag. 4unicità
e una sua scorrevolezza. Chiaramente, lascio agli atti la relazione
completa. Ne potrete prendere atto dopo la seduta di oggi.
Vi ringrazio, innanzitutto, per quest'occasione, che mi consente
di fare il punto anche in questa sede sulla preoccupante questione del
potenziale impatto dei PFAS sia sull'ambiente sia sull'uomo.
A questo punto, salto una parte importante di premessa, che è la
storia del PFAS, che immagino già conoscerete, cioè come siamo arrivati
nel corso del tempo, a partire dagli anni Cinquanta, alla consapevolezza
della portata del problema che dobbiamo affrontare.
A livello nazionale, nel 2013, a seguito della prima segnalazione
della presenza delle sostanze PFAS nelle matrici ambientali nell'area
del vicentino, il Ministero dell'ambiente ha istituito un gruppo tecnico
di lavoro per i necessari approfondimenti della situazione di
contaminazione da PFAS nelle acque sotterranee e superficiali.
In tale gruppo di lavoro, tuttora operativo sotto il coordinamento
del mio ministero, sono presenti gli esperti dell'Istituto superiore di
sanità, dell'IRSA, del CNR, dell'Istituto superiore per la ricerca e la
protezione ambientale (ISPRA).
Il gruppo di lavoro aveva in origine anche il mandato di definire
per i PFAS gli standard di qualità ambientale per i corpi idrici
superficiali e per i valori soglia per la valutazione dello stato
chimico delle acque sotterranee, entrambi da inserire, rispettivamente,
nello specifico allegato del codice dell'ambiente in attuazione delle
direttive comunitarie e nell'allegato del decreto legislativo n. 30 del
2009.
A seguito delle risultanze delle attività del gruppo tecnico di
lavoro, con decreto legislativo n. 172 del 2015 sono stati definiti gli
standard di qualità ambientale per le sostanze prioritarie
Pag. 5nelle
acque superficiali, ivi inclusi alcuni composti perfluorurati. Avrò
sempre difficoltà a pronunciare questa parola, mi scuserete.
Con decreto ministeriale 6 luglio 2016 sono stati individuati i
valori soglia per la definizione del buono stato chimico delle acque
sotterranee, tra cui i valori soglia di alcuni composti perfluorurati.
Salterei il pezzo in cui diamo atto di tutto il lavoro che abbiamo svolto.
In data 17 ottobre 2016, l'Ispra ha comunicato che solo quattro
regioni (Veneto, Lombardia, Piemonte e Lazio) hanno predisposto
programmi di monitoraggio per i PFAS. A inizio 2017, il ministero ha
sollecitato le regioni alla predisposizione dei piani di monitoraggio
dei composti PFAS nelle acque superficiali e sotterranee e negli
scarichi, e ad assumere tutte le iniziative di competenza volte a
controllare i corpi idrici.
Nella parte che non ho letto si dava atto che abbiamo formato un
gruppo di lavoro ulteriore, che ha dato mandato a tutte le regioni di
fare al loro interno delle linee guida.
Attualmente, oltre alle predette regioni, hanno predisposto
programmi di monitoraggio per i PFAS: Friuli-Venezia Giulia, Umbria,
Valle d'Aosta, la provincia autonoma di Bolzano, Puglia, Emilia-Romagna e
la provincia autonoma di Trento.
Con specifico riferimento alle problematiche riscontrate nelle
province venete, si ritiene opportuno inoltre segnalare che l'Istituto
superiore di sanità, operando in costante coordinamento con il Ministero
della salute, ha coadiuvato e sorvegliato costantemente le misure di
analisi e mitigazione di rischio di contaminazione causato proprio dalle
sostanze PFAS in Veneto e redatto una prima nota informativa (parere
del 7 giugno 2013) finalizzata ad attivare molteplici azioni
multidisciplinari orientate a garantire la mitigazione sostanziale di
ogni esposizione a
Pag. 6PFAS della popolazione e di valutare eventuali effetti sulla salute dovuti a esposizioni pregresse.
Qui riporto tutta l'attività svolta dal Ministero della salute,
che a questo punto salterei, pensando che farà parte della relazione che
il Ministro della salute verrà a illustrare nella vostra Commissione
nella prossima seduta. Resta comunque agli atti una storia ricostruita
dal mio ministero.
Andrei immediatamente al
focus regionale (abbiamo già
saltato dieci pagine, per vostra comunicazione). Negli anni Settanta,
l'Unione europea ha emanato direttive rivolte a tutelare l'acqua
dall'inquinamento attraverso la definizione esclusiva dei limiti allo
scarico. La direttiva europea, n. 60 del 2000, ha compiuto una
rivoluzione sovvertendo tale impostazione e spostando l'attenzione dagli
scarichi alla tutela dei corpi idrici recettori. Ha dunque adottato un
approccio che valuta unitamente i limiti agli scarichi e l'effettiva
qualità dei corpi idrici risultato dalle pressioni e dagli impatti che
su di esso insistono.
Per questo motivo le regioni, in base allo spirito della direttiva
quadro sulle acque, sono chiamate a valutare le pressioni e gli impatti
che si esercitano nel proprio territorio sui corpi idrici e sulla base
degli esiti di tale analisi definiscono combinazioni di misura di tutela
idonee, disciplinando per esempio, nelle autorizzazioni allo scarico,
specifici limiti e sostanze non contemplate nell'ordinamento europeo o
nazionale.
Questo è importante. È stato anche oggetto, più che di polemica,
di cattiva interpretazione. Il mio ministero non può dare un valore
certo e assoluto, perché da zona a zona, soprattutto da regione a
regione, la pressione sul corpo idrico cambia in relazione alle sostanze
contaminanti presenti. In una zona possono essere presenti più sostanze
contaminanti, in un'altra meno. A quel punto, i limiti vanno calibrati
anche in
Pag. 7base
alla presenza delle sostanze contaminanti. È un combinato disposto
delle sostanze. Il Ministero della salute, invece, può dare un valore
unitario, perché quello o fa male o non fa male, per intenderci.
L'evidenza di una situazione di potenziale pericolo ecologico e
sanitario nel bacino del fiume Po ha portato, nel 2011, alla stipula di
una convenzione tra il Ministero dell'ambiente, l'Istituto di ricerca
sulle acque e il CNR per la realizzazione di uno studio sperimentale su
potenziali inquinanti emergenti e sul rischio ambientale e sanitario
associato alla contaminazione da queste sostanze nel bacino del Po e nei
principali bacini italiani.
Tale studio nel maggio 2013 è stato condiviso con il Ministero
della salute e con l'Istituto superiore di sanità, oltre che notificato
all'Arpa Veneto e alla provincia di Vicenza al fine di coinvolgere fin
da subito il territorio.
A far data dalla nota del Ministero dell'ambiente del 29 maggio
2013, indirizzata a una pluralità di amministrazioni centrali e
periferiche, veniva richiesto di effettuare gli accertamenti necessari
all'individuazione delle fonti di immissione delle sostanze
perfluoroalchiliche e all'attivazione delle conseguenti iniziative di
tutela delle acque. Da ciò traeva avvio una fitta interlocuzione tra la
regione Veneto e tutte le amministrazioni competenti allo scopo di
individuare un percorso condiviso e coordinato di prevenzione e tutela.
La regione ad agosto 2013 ha istituito una commissione tecnica
interdisciplinare, costituita da rappresentanti della regione e da altri
enti coinvolti, con lo scopo di valutare diversi profili della
questione e di formulare proposte alle autorità competenti in ordine
alle ulteriori azioni da adottare per la prevenzione e la tutela della
salute pubblica. La predetta
Pag. 8commissione tecnica PFAS è stata assorbita, a giugno 2017, nella commissione ambiente e salute.
Il Ministero dell'ambiente ha espletato le proprie funzioni di
indirizzo e di supporto alla regione Veneto, nell'ambito della specifica
situazione di contaminazione delle acque da PFAS, anche attraverso la
costituzione del già richiamato gruppo di lavoro tecnico istituito nel
2013.
Il gruppo di lavoro, dopo aver definito nel 2016 sia gli standard
di qualità ambientali sia i valori soglia per cui era stato inizialmente
istituito, per scelta del ministero è andato oltre l'originario mandato
costitutivo e ha fornito gli elementi di natura tecnica e il supporto
necessario alla definizione del cronoprogramma di azione, che la regione
Veneto ha messo in campo per fronteggiare il problema della
contaminazione da PFAS.
In parallelo, con l'attività di supporto tecnico-scientifico,
dall'inizio del 2016 il mio ministero ha riassunto un ruolo proattivo
nella
governance in accordo di programma con la regione Veneto,
con gli enti territoriali e le associazioni industriali, sottoscritto
nel 2005, finalizzato alla realizzazione delle condizioni per il
riequilibrio del bilancio idrico del distretto vicentino della concia
anche attraverso interventi del settore acquedottistico, fognario e
depurativo.
Nell'ambito di tale accordo, il Ministero dell'ambiente ha
compiuto la scelta di lasciare le risorse ministeriali, ammontanti a 23
milioni di euro, fino a oggi non ancora spesi, 10 dei quali da destinare
al settore conciario. Praticamente, nel 2005, con l'accordo di
programma, erano stati destinati 30 milioni: 7 sono stati spesi e ne
erano rimasti 23. Nel 2016, abbiamo rifatto l'accordo di programma e
questi 23 milioni, invece che toglierli perché non spesi, li abbiamo
ridestinati al fine della tutela dei
Pag. 9corpi idrici, con destinazione anche al trattamento sui PFAS, che quindi abbiamo aggiunto rispetto a prima.
Tenendo conto del nuovo quadro conoscitivo e dei nuovi obiettivi
strategici risultanti dal piano di gestione delle acque del 2016, sotto
la guida del Ministero dell'ambiente è stato inoltre messo a punto un
testo di accordo innovativo, che conferma la volontà di mantenere gli
impegni finanziari assunti in coerenza con gli obiettivi individuati. Il
ministero vi si impegna a reperire ulteriori risorse per il
perseguimento degli obiettivi legati alla problematica dei PFAS,
obiettivi – lo si ricorda – prima non previsti all'interno del
precedente accordo, ma che trovano la loro evidenza nell'accordo
innovativo, a dimostrazione della centralità attribuita dal Governo a
quest'emergenza. Tale accordo è stato formalizzato il 6 luglio 2017.
Nel comitato di sorveglianza dell'accordo, tenutosi il 25
settembre scorso, il Ministero dell'ambiente ha avviato una prima
interlocuzione per gli adempimenti previsti dall'articolo 3 dell'accordo
in parola, utilizzo di 13 milioni, sulla base di un elenco trasmesso in
quella sede dalla regione. Sempre in occasione del comitato, è stato
formalizzato il progetto preliminare e di fattibilità di Veneto Acque,
riguardanti l'approvvigionamento da fonti alternative per la soluzione
della problematica dei PFAS.
Si ricorda inoltre che, in coerenza con gli impegni assunti dal
ministero, saranno destinate a tale riguardo risorse per l'importo di 80
milioni, a valere sul «fondone», di cui all'articolo 1, comma 140,
della legge n. 232 del 2016, già ripartite con il DPCM 21 luglio 2017.
Per intenderci, gli 80 milioni, che erano nel fondone, sono stati
ripartiti con un DPCM, e 80 milioni sono destinati alla regione Veneto
per la questione dei PFAS. Non vorrei che su questo ci fossero delle
cattive interpretazioni.
Pag. 10 Gli 80 milioni sono contenuti in un DPCM e destinati per quell'obiettivo alla regione Veneto.
Non appena sarà conclusa l'istruttoria tecnica relativa alla
fattibilità del progetto, che, per essere finanziato non può essere
preliminare, ma definitivo, e sarà chiara la concorrenza delle risorse
regionali per far fronte al quadro economico – questa è la quota del
ministero, ma ci dovrà essere anche una quota della regione – si potrà
procedere alla sottoscrizione dell'accordo attuativo per rendere
operativi gli interventi.
Occorre inoltre evidenziare che, tra luglio 2015 e aprile 2016,
con il coordinamento dell'Istituto superiore di sanità è stato condotto
uno studio esplorativo di biomonitoraggio per valutare le concentrazioni
del PFAS nel sangue delle persone residenti in alcune aree soggette
all'inquinamento.
Qui vi riporto tutte le risultanze di questo studio. Sono
interessanti. Vi consiglierei di guardarle. Penso, però, che siano più
oggetto della valutazione che farete con il Ministero della salute. Se
siete d'accordo, andrei direttamente all'altra questione importante di
oggi, quella dei NOE.
In seguito alla più volte richiamata ricerca sperimentale sulla
presenza di PFAS svolta nel 2013, l'Arpa Veneto ha individuato la
principale area di contaminazione nella provincia di Vicenza. Ha
successivamente esteso il controllo a tutto il territorio regionale
attraverso le reti di monitoraggio delle acque sotterranee e
superficiali nonché, in stretto coordinamento con la regione del Veneto e
l'Istituto superiore di sanità, ad altre matrici ambientali, quali
acque marine e lagunari, fanghi e alimenti.
A seguito di tale studio, l'Arpav rilevava un inquinamento sia
delle acque di falda sotterranea sia di quelle superficiali in un
territorio più vasto compreso nei comuni delle province di Vicenza,
Verona e Padova, interessati da PFAS non solo nel
Pag. 11corpo
idrico di falda, ma anche nelle condotte di acqua potabile, che nella
provincia di Verona servono il comune di Arcole, Veronella, Zimella,
Pressana, Rovereto, Albaredo d'Adige e Cologna Veneta, in quanto dette
condotte attingono alla falda sita nel comune di Lonigo.
Le autorità regionali procedevano a mettere in sicurezza l'acqua
potabile della zona interessata tramite l'utilizzo di filtri di carboni
attivi già nel 2013.
L'analisi sul sistema degli scarichi fognari del territorio
interessato ha messo in evidenza che le concentrazioni più alte
provenivano dal depuratore di Trissino. Tra le principali fonti da cui
avevano origine le quantità di PFAS scaricate in fognatura, vi era
proprio l'azienda chimica Miteni Spa, posta nel comune di Trissino.
La Miteni opera dietro autorizzazione integrata ambientale da
parte della regione Veneto, che ha autorizzato la produzione di
determinate sostanze, sottoposte a determinati limiti massimi entro i
quali possono essere prodotte.
Il procedimento amministrativo di caratterizzazione e bonifica del
sito, a seguito degli enti competenti per territorio, in cui ha sede
legale l'azienda Miteni, ovvero nell'ambito della provincia di
Vicenza...
Con riferimento al quadro ambientale relativo all'inquinamento del
sito industriale ove insiste l'impianto della Miteni Spa, a marzo 2017
il NOE, con l'ausilio dei tecnici dell'Arpav, ha iniziato una serie di
attività investigative e ispettive nei confronti dello stabilimento.
Alla luce delle considerazioni esposte nella relazione del comando
Carabinieri nucleo operativo ecologico di Treviso e, in particolare,
tenuto conto della notevole estensione e della gravità dell'inquinamento
riscontrato («la sorgente dell'inquinamento non è stata ancora rimossa
ed è a contatto o quasi con
Pag. 12la
falda»), del fatto che il protrarsi della contaminazione potrebbe
comportare gravi rischi per la salute umana, oltre all'aggravamento del
danno ambientale, alla non totale efficacia della barriera idraulica
presente presso lo stabilimento, si prevede un maggior coinvolgimento di
tutti i soggetti istituzionali interessati.
Nello specifico, si prevede la possibilità per la regione Veneto
di autorizzare l'applicazione a scala pilota di tecnologie di bonifica
innovative e di valutare l'opportunità di emanare un apposito
provvedimento finalizzato a ricondurre il procedimento amministrativo di
bonifica a un ente amministrativo, sovraordinato rispetto all'attuale
comune e dotato di adeguate capacità tecniche, come la stessa regione
del Veneto. Si prevede altresì un approfondimento dei monitoraggi
ambientali da parte di Arpav e un maggior coinvolgimento di Ispra su
tali tematiche. Questa è la descrizione della situazione da parte del
NOE e le relative risultanze della loro ispezione.
Si segnala inoltre che i militari del NOE di Treviso, in
collaborazione con il NOE di Milano e con il personale della sezione di
polizia giudiziaria dei Carabinieri di Vicenza, nel corso di una
complessa attività info-investigativa coordinata dalla procura della
Repubblica di Vicenza, l'8 marzo scorso, hanno proceduto ad alcune
perquisizioni nelle sedi della ditta in questione e deferito nove
dirigenti, cui sono stati contestati i reati di adulterazione e
contraffazione di sostanze alimentari e di inquinamento ambientale
nonché la violazione della normativa in materia di responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche.
L'amministrazione provinciale di Vicenza ha comunicato altresì di
aver attivato, il 18 gennaio 2017, il procedimento di riesame
dell'autorizzazione integrata ambientale della Miteni.
Pag. 13 Per
quanto concerne la messa in sicurezza del sito, l'Arpav ha evidenziato
che il monitoraggio delle concentrazioni al punto di conformità
realizzato a sud dello stabilimento ha reso necessaria la richiesta da
parte degli enti di ulteriori attività di miglioramento delle barriere
presenti.
Quanto richiesto è stato realizzato nel 2017 mediante attivazione
di tre nuovi pozzi in prossimità del torrente Poscola, tre nuovi pozzi
profondi, fino a intercettare il substrato fratturato nel lato sud dello
stabilimento, e l'ulteriore approfondimento di un pozzo nella parte
centrale dello stabilimento. Sono state inoltre realizzate ulteriori
verifiche di tipo idrogeologico per valutare le caratteristiche
dell'acquifero.
Complessivamente, fino a marzo 2017 sono stati estratti dalle due
barriere presenti 26 chilogrammi di PFOA, 6 chilogrammi di PFOS e 20
chilogrammi di altri PFAS, per un totale di 52 chilogrammi. Le acque
emunte dalla barriera in parte vengono trattate con un sistema di filtri
a carbone, in parte inviate all'impianto di depurazione interno alla
ditta. Il monitoraggio dell'efficacia della barriera viene verificato da
Arpav tramite il controllo analitico di tre piezometri di valle.
Come detto, il fenomeno dell'inquinamento dei PFAS ha assunto nel tempo una valenza interprovinciale.
Per quanto riguarda il territorio veronese interessato dalla
contaminazione dei PFAS, tali sostanze attraverso gli scarichi della
Miteni nel depuratore di Trissino vengono poi immesse nel condotto
consortile dell'Arica, dove confluiscono anche gli scarichi di altri
depuratori della zona, sfociando nel fiume Fratta, nel territorio di
Cologna Veneta. Sfociando nel fiume Fratta, queste sostanze, grazie agli
apparati idrici del canale LEB, subiscono altre diluizioni, venendo
disperse nel reticolo irriguo, che serve le aree coltivate di quella
zona, con il rischio della
Pag. 14loro conseguente penetrazione nelle piante, negli animali, e quindi nella catena alimentare.
Per l'ambito veronese, gli enti pubblici competenti stanno
procedendo ai fini della tutela della salute dei cittadini e
dell'integrità dell'ambiente ad attenti e costanti monitoraggi dell'area
in adesione a un programma di carattere regionale. Tutti i comuni
interessati hanno emesso ordinanze adeguate al proprio contesto. La
maggior parte ha obbligato i privati a dichiarare l'esistenza dei pozzi e
a effettuare delle analisi, disponendo in alcuni casi il divieto di
utilizzo per uso potabile dell'acqua prelevata dai pozzi privati.
La provincia di Verona ha reso noto di aver accertato superamenti
di concentrazioni di PFOA nel comune di Soave, area di servizio
scaligera nord, riconducibili a Eni Spa nel 2014. La predetta
contaminazione non risulta collegata né a quella di natura idrocarburica
né a quella dei PFAS ascritta alla ditta Miteni, ma sembra derivare da
una sorgente posta all'interno dell'area di servizio ed essere
sostanzialmente confinata alla stessa e ai terreni limitrofi.
L'intervento di bonifica per la rimozione dei contaminanti
idrocarburici attuato da Eni è pressoché giunto a conclusione, mentre
permane la problematica ambientale legata alla presenza di PFAS e BTF –
il BTF era il contaminante per un'azienda che c'era prima degli anni
Ottanta, se mi è stata descritta la storia giusta – come attestano le
più recenti analisi delle acque sotterranee fatte pervenire dall'Arpav
di Verona.
Il superamento delle CSC per il PFOA era stato registrato nel 2016
anche nel comune di Pescantina, ma con successive analisi, nel marzo e
nel giugno 2017, il superamento non è stato confermato. Per entrambi i
casi, il settore ambiente della provincia di Verona ha avviato
procedimenti per l'individuazione
Pag. 15 del responsabile della contaminazione, che sono tuttora in corso.
Risulta inoltre accertata da Arpav la presenza dei PFAS anche in
concentrazioni sensibili nel percolato di numerose discariche per
rifiuti non pericolosi presenti sul territorio provinciale, senza però
un corrispondente riscontro nelle acque sotterranee prelevate dalle
relative reti di monitoraggio.
Per quanto concerne la provincia di Rovigo, l'Arpav ha
rappresentato che la contaminazione unica riscontrata in questa
provincia, già evidenziata in uno studio del CNR del 2013, riguarda
alcune stazioni sul fiume Po ed è riconducibile a fonti di pressione
situate a monte dell'ingresso del Po nel Veneto.
Per tale provincia, l'azienda sanitaria polesana ha fatto presente
che, a far data dal 2016 a oggi, sono stati eseguiti in totale 224
campionamenti per la ricerca di PFAS, comprensivi di prelievi effettuati
presso insediamenti del settore alimentare che utilizzano acqua
proveniente da approvvigionamento autonomo e da dopo-trattamento di
potabilizzazione.
I rapporti di prova della sezione laboratori Arpav relativi ai
prelievi effettuati dal 2016 a oggi da personale dell'azienda medesima
sull'acqua destinata al consumo umano presso le nuove centrali di
potabilizzazione e dai punti significativi delle reti di distribuzione
non hanno evidenziato superamenti dei valori di
performance
fissati dall'Istituto superiore di sanità. Tutti i valori riscontrati
risultano inferiori anche ai recenti limiti restrittivi stabiliti dalla
regione Veneto.
Sempre secondo quanto riferito dall'azienda sanitaria polesana,
mentre l'acqua destinata al consumo umano proveniente da centrali di
potabilizzazione che derivano acqua dal fiume Adige ha evidenziato
valori di PFAS al di sotto del limite di rivelabilità dello strumento,
l'acqua proveniente da centrali che derivano acqua dal fiume Po o da
pozzi artesiani golenali ha
Pag. 16evidenziato la presenza di PFAS, ma non il superamento dei livelli di
performance fissati dall'Istituto superiore di sanità e dalla regione Veneto.
Per quanto concerne il danno ambientale, a seguito di richiesta da
parte del consiglio di bacino Bacchiglione di dieci comuni interessati
dalla contaminazione, si è avviata la relativa procedura. Il Ministero
dell'ambiente ha subito attivato l'Ispra per l'attività tecnica di
competenza e ha richiesto agli enti locali interessati dalla
contaminazione di trasmettere le notizie aggiornate in merito alle
eventuali iniziative intraprese a seguito dell'emanazione del decreto
ministeriale del 6 luglio 2016, che fissa valori soglia da considerare
per la classificazione dello stato chimico delle acque sotterranee.
Quest'amministrazione, in conclusione, si è dunque adoperata con
tutte le azioni possibili (dalle novità normative alle risorse
economiche, al pieno coinvolgimento delle sue strutture) nel fornire
conoscenze e competenze. Continuerà a farlo con la stessa intensità di
fronte a un problema che le comunità locali vivono con comprensibile
preoccupazione.